Dai campi di battaglia di Curtatone e Montanara alla tragica morte a Corfu' del padre agostiniano Francesco Luigi Giambastiani di Lucca
Francesco Giambastiani, Padre Agostiniano
in Lucca, fece parte del corpo dei volontari toscani nella prima guerra d’indipendenza,
sui campi di Curtatone e Montanara, [vedere: “due fratelli sul
campo di battaglia di curtatone e montanara” - enricogiuseppelucamarchi.blogspot.com],
fu una figura di riferimento nel Ducato, come testimoniato la petizione
inviatali da“Gli onesti padri di
Famiglia…” [vedere: “la statua
scandalosa in p.zza napoleone a Lucca” - enricogiuseppelucamarchi.blogspot.com],
fu in contatto epistolare con l’ex ministro Ward, dopo il passaggio di Lucca
nel Granducato di Toscana [vedere: “due lettere di tommaso ward all’ “amico
del popolo” da firenze nell’anno 1847” - enricogiuseppelucamarchi.blogspot.com]
e dopo la caduta della Repubblica Toscana del triunvirato Guerrazzi,
Montanelli, Mazzoni, dovette fuggire esule a Corfù, come avvenne per molti
patrioti italiani [vedere: Rassegna storica del Risorgimento: Esuli italiani nelle Isole Ionie
(1849) 325:
“… Lo stesso giorno 20 giugno, a bordo del trabaecolo pontificio, nominato
lo Splendore del Vaticano, capitano Francesco Vccchini, che aveva inalberato
bandiera britannica, partirono da Ancona altri 97 compromessi, …… (fra
cui) due Toscani (il cappellano Luigi
Francesco Giambastiani di Lucca, e il tenente Alessandro Sestini di Firenze)…..”.
Da Corfù furono inviate due lettere per annunciare la morte del Padre Agostiniano. La prima è scritta da un fuoriuscito lucchese, Reginaldo Coli, che la indirizza all’amico Leopoldo Pardini per dare la triste notizia alla città:
Carissimo Poldino
Corfù 4. Ottobre 1849
Con mio grande dispiacere le scrivo la morte del nostro benemerito
concittadino Don Francesco Giambastiani.
Costui infelice per troppa sua bontà prese con seco lui à mantenere tre
infelici sciagurati birbanti, che emigrando dall’Italia si trovarono privi di
mezzi di sussistenza. Uno si chiamava Grillo di nazione Napolitana, l’altro era
un certo Bottini Enrico di Firenze, e l’altro Sestini di Pontremoli che circa
quattro mesi li ha mantenuti pagandoli casa e mangiare seco lui; ma costui
ritrovandosi ristretto di mezzi prima licenziò il Napolitano, e poi gli altri
due che avevano aperte comunicazioni colla famiglia. Sentendo queste cose
Sestini accusa il prete per 30. francescani, e lo accusa in tribunale dicendo
che glie li aveva prestati a Firenze, ed un altro viene fuori volendo salario
perché qui in Corfù gli aveva fatta ordinanza [servizio], e i due confermavano da
testimoni, ed il Prete fu condannato a pagare. Non contento di questo fanno una
lettera infamante, e ne fanno tre copie ed ognuno di costoro quando incontrano il misero Prete la
leggeva forte chiamando altri che
a sorte fossero sulla strada,
queste lettere l’accusavano sodomista, protestante, e spia del Gran Duca, e che
col gran Duca avea avuto una credenziale di 4,000 franchi.
Il Povero infelice sentendo tutte queste calunnie si porto da un certo
Sig.re Greco latino Marco Martinelli e buttandolese quasi ai piedi
li disse: Caro Sig.re Martinelli quei birbanti mi calunniano mi
vogliono screditare rovinare …. [illeggibile] per carità mi prenda in casa sua;
costui li rispose padrone ma non ho una camera mobilita per esso, non importa
dormirò anche in terra; insomma il
Prete andò in casa sua, e questo Sig.re andò a trovare quei birbanti
e glie ne disse più che mai poteva, e il prete se lo condusse in casa come se
ne fosse stato padrone trattandolo con vera cordialità come se fosse stato un
vecchio amico di sua casa; e come tratta bene con tutti gli emigranti che è
stato amico fino da quei del 21 [1821] in poi.
Cadendomi quasi la penna di mano a finire la doloro[sa] storia dopo otto
giorni che il nostro R.do era stato in casa il giorno di ogni Santi
alla latina religione nostra confessassi disse la S. Messa e poi entrato in
camera si rinserrò al di dentro. Scrisse una lettera al Parroco latino, una
alla comune aperta aveva aveva posta entro una lettera di questi infami prese
in una mano il Crocifisso, e nell’altra un rasoio e messosi a terra per non far
sentire fracasso si tagliò il collo e non dicendo nelle sue lettere che
perdonava a tutti i suoi nemici, si raccomandava al parroco per l’anima sua, a
Suo padre a Sua madre e fratelli e agli amici tutti e che lui era innocente,
dicendo, adesso che sono morto troveranno il Protestantismo, troveranno la
spia, troveranno il denaro, che pochissimo ne aveva, e di tutto …. [illeggibile] il
tribunale tralasciò che troppo dovrei dire
Ho perduto l’amico, ho persa la mia compagnia, ho perduto l’unico che
conosceva degl’Italiani a Corfù l’uomo compianto quasi dai sassi, che in una
parola non vi è ne un Greco, ne un latino che non compianga la sua sciagura, e
che si scagli contro i Birbanti. Darà in bella maniera la funesta nuova alla
sua famiglia, e non sparga tanto subito la nuova che non sia troppo funesta al
misero genitore.
Se posso favorirla nei comandi e sono Suo Servo ed Amico
Reginaldo Coli
P. S. Darà nuove alla mia famiglia che vivo e che mi trovo a Corfù
provando pur troppo le conseguenze di un esiglio che chi sa quando avrà il
fine; già in questa occasione stessa
scrivo al mio cugino Si.re Filippo ….[illeggibile] Della
Bona che informerà anch’esso la
mia famiglia e la lettera l’ho
raccomandata al Sig. Giovanni Corsi di …. [illeggibile] di Livorno.
La seconda lettera fu inviata direttamente al padre Giovanni
Giambastiani da Marco Martinelli, che, risedendo da vari anni nell’isola, aveva
ospitato il padre agostiniano nella propria casa dove avvenne il suicidio:
Corfù li 24 Novembre 1849
Stimatissimo Signore
e Sventurato Genitore
Se il sottoscritto intraprende in questo momento l’azzardo di scrivere
ad un addolorato genitore sconosciuto la funebre istoria dello disgraziato
Figlio non è che possa scrivere della stima – rispetto – e venerazione che
nutriva e professava con sentimenti i più sinceri del cuore verso quell’anima
benedetta, che repentinamente, e si dolorosamente diede passaggio da questa in
altra vita, nell’atto che le
pareti del mio [?] domicilio famigliare lo avea accolto senza il benché minimo
interesse ma soltanto per quella amicizia quasi fraternale egli scambievolmente
si professavano.
L’ottimo e Reverendissimo trapassato dal di che pose piede in questo
sventurato suolo corcirese [dell’isola (e città) di
Corfù, anticamente chiamata Corcira] fù il giorno che il sottoscritto, o
stimatis:mo Signore ebbe la sfortuna di nutrire leale amicizia con
lo stesso dico sventura perché il caso orribile e la perdita di un tale
virtuoso Essere fece generale lutto ai bravi compatriotti, che sino dal suo
venire costà gli avevano donato stima rispetto e venerazione.
Sarebbe lunga l’istoria delle virtù, maniere illibate dell’immortale
Defunto onde descriverle al Caro Suo Genitore – ma però non può il sottoscritto
tralasciare di tessere le ordite trame di due infami Fiorentini e di un perfido
Napoletano che erano dal defunto mantenuti di mensa e di denari dal momento
istesso che era l’infelice giunto nella disgraziata terra che ebbe la sfortuna
di accogliere le sue venerate ossa; e che da principio si chiamava fortunata ed
onorata nell’avere un mortale tanto insigne e virtuoso, e molto più chiamarsi
felice il Clero Latino che lo avea accolto con molto piacere e stima e questo
lo può assicurare il dolore inestinguibile dei Corciresi tutti _ e le amare
lagrime del Clero latino e molto più di quelle del Vecchio
Prelato, e del Reverendissimo Paroco Decano Don Carlo Rivelli che questi lo
aveva sempre al suo fianco godendo la Sua virtù e la Sua Eloquenza.
Mille e mille furono le calunnie che gli tesero gli infami Enrico
Buttini – Ferederico Sestini ambi di Firenze – Antonio Grillo napoletano uniti
poi ad un Consigliere delle ordite calunnie Carlo Rebora uomo scostumatissimo e
di gravi costumi. Tale calunnie sono in diverse lettere che presso il
magistrato di Inquisizione Criminale esistono e che questo tribunale attende da
persona invertita di carattere Procuratore Generale abbia ad avanzare querella
e a peso dei sunnominati tradittori.
Nel dì della disgrazia lo Sventurato, che preparato erasi di partire
per Santa Maura [oggi Leucada] isola ionia dal suo intimo amico l’Onorevolissimo
Barone D’Everton che con lettere dirette a Sua Eccellenza il Lord Alto
Commissionario di questi Stati Jonj Sir Enrico Ward lo chiamava colà per godere
della Sua cara compagnia portosi
nella propria stanza che il
sottoscritto come si disse gli aveva offerto a puro sentimento di stima e
venerazione staccandolo dagli infami che lo perseguitavano e che lo avevano già
calunniato / ad oggetto solo di carpirgli denari / lasciò nell’atto del suicidio una lettera, ove ringraziava i
Corcinesi tutti gl’amici suoi e particolarmente il sottoscritto e perdonando i
suoi nemici e persecutori, e poi infine un addio ai Suoi Cari Genitori e
fratello, e dimostrava la sua innocenza a tante infamie che i ribaldi avevano
avuto il coraggio di tessere.
Tosto che una tale disgrazia accadette che già tutta la Città mise il
lutto, la casa del sottoscritto fu affollata di gente la più distinta, e le
lagrime di tutti scorsero a rivi di un fiumicello – l’aria si perdette –
l’atmosfera cambio e di un bel giorno ch’era si oscurò, e l’Angelo quasi si
fece vedere che l’anima benedetta avea
accolto mentre presso di lui vi stava il Crocifisso tinto di sangue che
poco prima di spirare aveva già baciato e ribaciato in questi istanti tanto
dolorosi giunse il Giudice di Inquisizione Criminale ed il tutto accolto fece
porre i sigilli alle Sue robbe ed al Suo Baule e poi fu tosto con tre
Sacerdoti condotto al Cimitero ove
fu tumulato nella linea dei Sacerdoti graduati.
Nel dì successivo una quantità: ossia tutte le messe che si dissero
dall’intero Capitolo furono applicate a prò della Santa Sua Anima.
Ma parlando di nuovo per gli assassini della sua disgrazia devono
rimanere impuni?
La Società chiede soddisfazione.
Il Carrattere Sacerdotale vuole riparo essendo stato leso si altamente
ed ignominiosamente.
A Voi o Sventurati Genitori la legge comanda di rivolgervi ad essa, ed
in Vostra mancanza un legittimo procuratore.
Persone probe e di virtù vi sono Corcira e niuno rinuncierà alla vostra
scelta, il sottoscritto stesso, che forse più di alcun altro trafisse il cuore
della perdita del Caro vostro figlio, Egli si colle braccia aperte attende la
sua nomina ed egli aggirà con tutto calore, pria per rendere al pubblico nota
l’innocenza di un tanto illibato Sacerdote, e poi per garantire la Sua
Religione presso un popolo Greco.
Il Signor Console e vero che cercò un procuratore ma questi è uomo
triviale – povero – onesto si ma accolto [?] soltanto alla sua meschina professione
facendo pupi di gesso – egli agirebbe, ma le sue occupazioni sono quelle che lo
trattengono, e che lo fanno stare silente – quindi vi serva ciò di norma e fate
ciò che a voi aggrada.
I CORFUNIANI quasi tutti volevano creare una colletta per innalzarli
una lapide ad onore della stima riconoscenza del martirizzato F.
Giambastiani, ma io li dissuasi, credendo di offendere la propria Sua Comoda Famiglia, dicendo a
questi, che i Suoi Genitori devono da Lucca mandare una simile, io intanto non posso che partecipare
del suo dolore ed augurandole felicità in avvenire sono di tutta stima e rispetto.
Marco Martinelli del fù P: Lorenzo
Nell’archivio Giambastiani è inoltre conservato il certificato di
morte:
Copia tratta dal Libro N 11. Pagina Prima del Foglio N°: 44 degli Obiti della Chiesa del Duomo Parrocchiale Latino di Corfù.
Corfù Primo Novembre 1849. Quarantanove.
Il Molto Revd: Sig. Francesco Luigi Giambastiani del Sig. Giovanni, da
Lucca d’anni 40, da morte violenta, oggi rese l’Anima a Dio, il di cui Corpo fù seppellito nel
Cimitero della Chiesa B. V. del Carmine.
D. Carlo Rivelli Parroco dei Latini.
Corfù 12. Febbraio 1850 Cinquanta.
Concorda coll’originale.
Il Parroco dei Latini D. Carlo Rivelli.
Si certifica per parte del R°. Consolato Gen.le di S. A. I. R. il Gran Duca di Toscana,
qualmenti la premessa firma è propriamente del Rev.do Don Carlo Canonico Rivelli, Parroco dei
Latini di questa isola, alla di
cui sottoscrizione si puo prestare piena ed indubitata fede
Corfù 8. Marzo 1850
Corfù 8. Marzo 1850
Il Garante il Reg. [ illeggibile]
firma
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