sabato 26 luglio 2014

ALBERO GENEALOGICO CON "FRUTTI"


Albero genealogico con “frutti”.

Albero genealogico della famiglia Pellegrini, originaria di Sesto di Moriano (Comune di Lucca), trasferitasi all’inizio del ‘600 a Borgo a Mozzano.
L'albero è disegnato ad acquerello su una piccola ventola in cartone con manico in legno.
Il primo “frutto” datato 1450 è Pellegrino, gli ultimi “frutti” si riferiscono a discendenti nati a metà ‘800. Accanto a questi ultimi compare un “frutto” acerbo che è presumibile voglia rappresentare un figlio/a in stato di concepimento.



 Sul cartiglio appeso al primo rametto è scritto:
Albero della
Famiglia Pel-
legrini prove-
 niente da Sesto.
Ripreso dall’an
-  no 1450  -

venerdì 25 luglio 2014

Ricordi della Grande Guerra di una famiglia lucchese - V° parte


una famiglia lucchese durante la Grande Guerra 
(1914 -18)- V° parte
____________________

SUL FRONTE DEL PIAVE

Saldamente attestatisi sulla linea del Piave le truppe italiane attendono gli imminenti attacchi nemici [Il comando supremo italiano, dopo una prima ritirata lungo il Tagliamento, il 4 novembre ordina il ripiegamento generale sul Piave, ripiegamento completato il giorno 9. La nuova linea italiana, lunga 400 km, dall’altipiano di Asiago giunge al mare lungo la destra del Piave e si incardina sul Monte Grappa, dove si schiera la 4° armata, a cui appartiene il Ten. Marchi. La battaglia d’arresto inizia con le avanguardie austro-tedesche il 10 novembre sull’Altipiano di Asiago, quindi si allarga il 12 lungo le sponde del Piave ed il 15 novembre investe anche il settore del Grappa]. E’ un momento di relativa tregua per le operazioni militari e di riflessione per i combattenti. Il 12 novembre il Ten. Marchi invia una cartolina alla madre:
Carissima mamma, per la prima volta ti scrivo un po’ con calma. Mi trovo ottimamente colla mia batteria dopo un lungo viaggio. Non temere di niente che siamo in molti e sicuri della vittoria. Ho scritto sempre a te e al dottore. Ti mando l’indirizzo esatto e spero di ricevere notizie. Non ho più saputo niente ti te ma non sto in pensiero perché capisco che le comunicazioni non sono facili. Tanti tanti baci a tutti. Tuo Mario [Zona di guerra, 12 novembre 1917 – cartolina C23-17-c]
Postazione lungo il Piave [1917]

La sconfitta, appena subita, fa nascere nei combattenti la convinzione che questa in gran parte sia stata causata dai “nemici interni [I soldati combattenti comprendevano confusamente nel novero dei nemici interni i pacifisti, i circoli politici tiepidi verso la guerra, i socialisti, gli operai nelle fabbriche, gli industriali e tutti coloro che traevano forti guadagni dallo stato di guerra, oltre naturalmente agli “imboscati”. In realtà “l’episodio italiano della rotta di Caporetto suscitò un enorme allarme sociale come improvviso segno della estraneità delle masse alle ragioni del conflitto.….La storiografia tende oggi a vedervi in primo luogo i connotati di una sconfitta militare, largamente spiegabile con gli errori e l’imprevidenza degli alti comandi. Nondimeno vi è larga concordanza anche nel riconoscere che la falla così aperta mise in luce quanto profondi e larghi fossero gli stati d’animo di stanchezza, sfiducia e estraneità, quanto minaccioso il profilarsi tra i combattenti di una massa informe, sorda ai richiami del patriottismo, intimamente renitente agli imperativi della mobilitazione e pronta a sottrarsi all’inquadramento disciplinare solo che se ne offrisse l’occasione. Tutto rimarcava con più evidenza il carattere nuovo, intrinsecamente politico e non puramente tecnico-economico, della guerra di massa, modificando non solo le regole della condotta militare ma anche e soprattutto quelle del dominio sociale.” [La Storia – I grandi Problemi dell’Età Contemporanea – vol. 3 pg. 778 – ed. Garzanti 1993]] e così anche il Ten. Marchi fa propria questa tesi con frasi brevi e taglienti indirizzate al fratello Cesare:
“....Non stare assolutamente in pensiero ed abbi fiducia nella vittoria. Speriamo di punire egualmente i nemici interni che hanno tradito noi soldati. In Italia non dovrebbero udirsi che parole di fede. Speriamo che sia così. ……” [Zona di guerra, 14 novembre 1917 – cartolina C13-17-c].
ed alla sorella Delia:
 “…ho piena fiducia scacceremo il nemico. Così potessimo sterminare i nemici interni che ci hanno accoltellato nella schiena!...[ Zona di guerra, 15 novembre 1917 – cartolina C14-17-c ].
In forma più ampia l’argomento è affrontato in una lettera del 27 novembre, indirizzata ancora alla sorella:
“…..Essere qui i questi giorni è cosa da rendere veramente lieti. E’ questo il solo posto dove dovrebbero essere gli italiani. Ma anche all’interno si deve combattere e da tutti. Combatti con fede ogni voce malvagia, ogni notizia tendente a deprimere gli animi. Nelle case e nell’ospedale mostrati serena e piena di fiducia. Se la propaganda della nostra guerra fosse stata fatta da tutti forse non si sarebbe avuto il disastro. Fede ora e coraggio per la riscossa! Quando prima un ignorante diceva che era da augurarsi solo la pace chi lo contraddiceva? Chi gli dimostrava la santità della nostra guerra? E così i tedeschi e i traditori hanno potuto fare propaganda da soli. Questo non deve essere più. Affermo che qui sulle linee c’è la più grande fede e che siamo decisi a non lasciare avanzare i barbari di un passo. Non manchiamo di niente ed accetteremo qualsiasi prova…..” [Zona di guerra 27 novembre 1917;- cartolina C13-17]
Anche a casa la convinzione, che Caporetto derivi da un tradimento interno, è assai radicata ed il fratello Cesare, certamente influenzato dall’ambiente studentesco di cui fa parte, risponde:
“Caro Mario, contro i nemici esterni voi; contro i nemici interni e i vigliacchi noi ed il nostro disprezzo.” [Lucca, 19 novembre 1917 - cartolina C24-17-c]
e la madre:
“…Siamo certi che la calata in Italia ai barbari li costerà salata. Vorrei però vedere puniti chi ne ha avuto la colpa. Speriamo ed auguriamo che per quelli non ci sia pietà…Abbiamo fiducia nell’esercito ma un po’ di propaganda buona sarebbe necessaria nelle campagne dove basta poco a rialzare e abbassare il morale. Io faccio quello che posso, tu sai dove, ma ci sono tante teste dure [La madre si riferisce ai mezzadri e ai coltivatori diretti della campagna intorno a Fossa all’Abate, dove la famiglia trascorre le estati del tempo di guerra. Nelle campagne, per la mancanza di braccia e per i lutti, la guerra è assai mal vista; fra il 1915 e il 1918 l’esercito operante fu di 4.300.000 unità, di cui 2.500.000 contadini, arruolati quasi tutti in fanteria, corpo che sopportò il 95% delle perdite] e specialmente poi se è scarso il pane…” [Lucca, 30 novembre 1917 – cartolina C1-17-c].
Il Ten. Marchi rassicura i familiari:
“…I nostri soldati sono meravigliosi. La propaganda infame li aveva abbattuti in parte, ma ora tutti hanno ritrovato lo spirito antico[ Dopo Caporetto il Comando supremo militare comprese che “si imponeva la necessità di una svolta, nelle strategie del controllo sociale, da una “disciplina della coercizione” a una “disciplina di persuasione”; o meglio, di una combinazione tra i due momenti che, se trovava nella guerra il terreno di applicazione privilegiato e in Caporetto un momento di accelerazione, prolungava le sue valenze ben aldilà di quelle vicende.” [La Storia – I grandi Problemi dell’Età Contemporanea – vol. 3 pg. 778 – ed. Garzanti 1993] [Zona di guerra 19 novembre 1917; C9-17-c ]

Gli appunti sul taccuino del Ten. Marchi, interrotti al momento dell’affannosa discesa dal Monte Tre Croci, riprendono brevemente dall’11 novembre al 20 con l’indicazione di dati tecnici e del movimento delle truppe nemiche, per concludersi definitivamente con la trascrizione del bollettino di guerra del generale Diaz del 24 novembre.
Segnalazioni:
11 Novembre 1917
Dal Com. di Gruppo: Riservato personale
N° 10975 Prot. Op. 6 nov. 1917
Oggetto. Segnalazioni con pistole Very
Si trasmette copia del foglio 15027 A. del Com. di Armata e facendo riserva di comunicare le decisioni del Comando stesso nei riguardi dei colori da adottarsi per ogni tratto del fronte. Si informa che questo nei riguardi delle segnalazioni con pistole Very, è stato diviso come segue:
1° Dall’osteria Montenera per M. Tomba e M. Monfenera al Piave e a Pederobba (esclusa) quindi la strada Pederobba – Vettorazzi Fossagno (compreso)
2° Da Pederobba (escluso) lungo il Piave e Pieve (incluso)quindi la strada Pieve – Ornino – Cornuda – Meser – Cappella.    
3° Da Pieve (escluso) per la testata di Ponte di Vidor e le Giave (?) di Ciano a Rivaserea (?) (incluso); quindi la strada Rivasecca Cornuta.
D’ordine: il C. S. M. [firma illeggibile]
Per opportuna conoscenza e norma significando che i colori stabiliti per ciascun settore sono i seguenti:
1° Tratto di ost. Montenera  - Pederobba (incluso) Bianco 
2° Tratto di Pederobba (escluso) – Pieve (incluso) Rosso
  Tratto di Pieve (escluso) Rivasecca (incluso) Verde
Comando IV ° Armata
15027 Prot.
Segnalazioni con pistole Very
Allo scopo di assicurare il pronto intervento della artiglieria su qualsiasi tratto del fronte dispongo che si adottino le seguenti modalità di segnalazione:
1°- Tutto la fronte (sic!) dell’Armata verrà suddivisa in vari tratti a cominciare dalla sinistra. A ciascun tratto verrà attribuito un colore che sarà quello della segnalazione per urgenti richieste di fuoco in quel tratto. I colori si succederanno a cominciare dalla sinistra nel seguente ordine Bianco, Rosso, Verde e successivamente Bianco, Rosso etc.
2°- Le segnalazioni saranno costituite dal lancio prolungato di stelle del colore stabilito, lungo tutto il tratto del fronte attaccato.
3°- Per poter ottenere che la successione dei colori lungo tutta la fronte sia quella stabilita al ?? occorre che i corpi d’armata in linea mi comunichino successivamente a cominciare dalla sinistra ed al più presto la suddivisione in tratti fatta del proprio fronte.
4°- Non sono ammesse altre segnalazioni colle pistole very oltre a quelle di richiesta del fuoco. L’ordine di cessare il fuoco dovrà essere dato con altri sistemi di comunicazione, per impedire che il nemico possa ingannare la nostra artiglieria.
5°- Entro la giornata di domani intendo conoscere la suddivisione del fronte di cui al [non leggibile]. Mi riservo di trasmettere congruo numero di copie del completo sistema di segnalazione lungo tutta la fronte dell’armata, finché possa essere portata a conoscenza di tutti i comandi fino a quelli compagnia e di batteria.
Il Com. della Armata
Prime operazioni offensive dell’esercito austriaco:
20 Nov. 1917
ore 2,45 - Dalla pattuglia di collegamento si segnalano movimenti di truppe verso Abbazia. Le mitragliatrici hanno già aperto il fuoco. Ordine alla 75°di sparare 5 gr. su Abbazia. Bene
23 Nov. 1917
A letto con tonsillite presso il Com. di Gruppo. Il S.Ten. Ognesna viene a riferire che una granata nemica ha ferito il soldato Lena presso l’osservatorio di Batteria. [Il soldato Fabio Lena è originario di Ponte a Serraglio, frazione di Bagni di Lucca, da cui proviene il Ten. Marchi.Oggi mi è capitato qui in caserma e proprio al mio reparto il figlio del Lena Liborio dei Bagni di Lucca. Il padre non è stato un nostro amico ma il figliolo mi sembra un buon ragazzo [Torino 28 agosto 1917 - lettera B4-17]. Quando il Lena, dopo l’amputazione della mano viene trasferito all’ospedale militare di Lucca la sorella del Ten. Marchi scrive: “Carissimo Mario, una notizia che ti può far piacere è che Fabio Lena, dopo aver tanto sofferto, si trovi ora con noi alla Croce Rossa. ….Sono andata subito a trovarlo e ti dirò che sono rimasta del suo coraggio veramente ammirevole! Mi ha parlato di te con vero affetto, mi ha raccontato di quando ti vide per la prima volta [al battaglione nella caserma di Torino] e gli sembrò di riconoscerti, di quando domandasti se c’erano toscani nella batteria e trovasti lui; “ed ora che aveva avuto la fortuna di esser con lui” ha soggiunto” mi è toccato partire…..” Se tu sapessi come ci si sente piccine davanti al coraggio e al dolore di voi soldati! [Lucca, 17 dicembre 1917 – cartolina C24-17].
Alle ore 10,30 il nemico ha aperto il fuoco contro la batteria 149 di San Raffaele. Un colpo nostro è caduto presso l’oss. di batteria ed ha ferito Fabio Lena asportandogli in parte la mano sinistra.
Dalla 2° sez. Sanità di Pacadene mi si avverte che il Lena è stato amputato.
24 Nov. 1917
Bollettino di guerra 24 Nov.
Sul fronte montano dell’Altopiano d’Asiago al Piave poderose puntate avversarie lungamente preparate dal tiro d’artiglieria e tenacemente eseguite fallirono tutte. Nel piano, nuclei nemici che tentarono in parte il passaggio del Piave vennero rovesciati nel fiume a cannonate. Tre velivoli avversari furono abbattuti dai nostri antiaerei.

Gli appunti si interrompono improvvisamente perché si è verificata una situazione che per tutto il resto della guerra provocherà cruccio e tormento al Ten. Marchi.
Giunto sulla linea del Piave, dopo aver salvato con i suoi soldati la batteria dall’accerchiamento austriaco, scrive alla madre:
“….. Dove ora mi trovo non posso naturalmente dirti perché non si deve assolutamente parlare delle attuali posizioni. Sono appostato presso una collinetta ed ho contro a me dei monti che mi ricordano le Pizzorne. Qui purtroppo non avrò molto da combattere perché la posizione è tale che il nemico non tenterà di sfondare. Spero di essere più fortunato quando ci lanceremo avanti. E che sia presto!” [Zona di guerra, 22 novembre 1917- cartolina C8-17-c]
A questa lettera la madre risponde:
“….Non ho mai dubitato che tu non ti sia portato da forte e coraggioso perché ti ho veduto in altre circostanze dolorose. Sii coraggioso si, ma al tempo stesso pensa che bisogna cercare di salvarsi la vita; è un dovere anche quello verso la patria e la famiglia, se si muore non siamo più utili a nessuno….” [Lucca 25 novembre 1917 - lettera C28-17]
Il patriottismo che infiamma il figlio gli fa ritenere di svolgere un ruolo poco meritevole, perché la posizione tenuta sulla linea del Piave presenta rischi limitati ed in altra lettera, indirizzata ancora alla madre, fustiga il proprio animo perché talvolta vittima di tentennamenti:
“… Qualche volta, vedi, il piccolo egoismo trionfa. Quando ci si trova di notte sotto l’acqua o in un rifugio, quando non si dorme e si ha freddo o quando si hanno altre preoccupazioni, viene in mente una cameretta calda in casa o in ufficio tranquillo o la sala di officina. E il diavolo tentatore cerca di appoggiare il sentimento egoistico con ragionamenti che hanno qualche parvenza di verità: Non saresti meglio utilizzato tu, ingegnere in officina? Non provvederesti all’avvenire di un fratellino che devi considerare un figliuolo ? [La data di nascita del fratello minore Cesare è il 1903, mentre quella del Ten. Marchi è il 1890] Ed altri belli argomenti. E si rimane un po’ incerti. Ma poi la ragione quella vera dice che ora non si deve essere ingegneri ma Italiani e soldati e che è meglio provvedere all’educazione di un figliolo coll’esempio presente che non pensando al suo futuro; che i patrimoni veri non sono i materiali ma i morali; e che bisogna stare qui di fronte al nemico perché questo figliolo possa essere tranquillo e andar a scuola e non aver bastonate dagli sgherri austriaci. E quando poi si sente dire dalla mamma che non vorrebbe vederti a casa come tanti imboscati, oh come si riconosce quale dei due ragionamenti era il vero! Tutti i miei amici ormai hanno pagato il lor tributo. Questa catastrofe li ha tutti travolti; Massagli ed Andreucci sono prigionieri, Martinelli e tanti altri sono morti. Quando penso che io mi sono salvato e sono ancora di contro al nemico sento una gioia che non ti so descrivere.” [Zona di guerra, 15 dicembre 1917 – cartolina C11-17].
Il motto del fratello minore “contro i nemici esterni voi” è un imperativo categorico ed al momento vissuto con la massima intensità.

Come un fulmine a ciel sereno, nei primi giorni di dicembre del ‘17, il Ten. Marchi è raggiunto dall’ordine di consegnare i pezzi della sua batteria:
“…. ad un gruppo, che non solo non aveva saputo salvare i suoi cannoni ma che si era dimenticato di prendere anche i binocoli dal momento che richiedeva i miei.” [Zona di guerra, 9 dicembre 1917; lettera C1-17].
Quest’ordine ingenera nel suo animo ira e sdegno e, sull’onda dell’emozione, prospetta soluzioni estreme:
“…Io sono stato chiamato presso il gruppo, ma piuttosto che rimanere farò domanda per i reparti di assalto…”. [Zona di guerra, 9 dicembre 1917 - lettera C1-17]
Lo sdegno è dettato dall’essere stato trattato, assieme ai suoi uomini, alla stregua degli sbandati di Caporetto e per questo informa i conoscenti e in primis il dott. Angelo Barsanti, che considera come un padre:
“Carissimo Signor Dottore, Le scrivo pieno di tristezza per la sorte della mia batteria. Da due giorni eravamo arrivati qui per ricostituirsi e speravo ormai di riavere i miei cannoni e di poter ritornare colla mia batteria incontro al nemico. Invece parte dei miei uomini parte ora per recarsi lontano a lavorare sulle strade. Questo trattamento, giustamente inflitto agli artiglieri che non hanno salvato i propri pezzi, è ora toccato ai miei bravi soldati che hanno salvato i loro. Non le dico il mio strazio. Noi chiediamo solo di combattere e ne avevamo il diritto come tutti quelli che hanno salvato i loro cannoni. Ed invece perché abbiamo dovuto cedere i pezzi ad un altro gruppo siamo trattati come sbandati….” [Zona di guerra, 7 dicembre 1917 - lettera C15-17]
La famiglia Bertacchi, conosciuta e frequentata mentre studiava al Politecnico di Torino, così risponde:
“Caro Sig. Mario, mia moglie, che ha tanto gradita la sua lettera in data del 14, ma che non può scrivere se non a fatica e con dolore (causa il suo disturbo all’aorta) ha pregato me di far le sue parti. E di dirle che si faccia coraggio e abbia fiducia che i cannoni non le mancheranno. La nostra resistenza sul M.te Grappa e alle due ali del medesimo, è semplicemente miracolosa: ed è tale avvenimento da ispirare la fede più salda nella buona riuscita, non ostante la perdita gravissima ed improvvisa del ponte sull’Isonzo. Ed anzi, appunto in questo sta la grandezza della resistenza del nostro Esercito, resistenza superiore a quella dei Francesi a Verdun, poiché i Francesi erano appoggiati ad una linea da lungo tempo fortificata e munita e in questo luogo si trovavano organizzati. Mentre noi ci siamo trovati in posizioni nuove, non munite e con un esercito disorganizzato e avvilito da una disfatta scura e misteriosa, tanto più atta a gettare il panico e la sfiducia negli animi, allargando gli effetti funesti di un fatto non ben conosciuto. Dunque noi abbiamo ragione di nuova fiducia nell’avvenire della guerra. Un solo punto può darci a temere: la debolezza interna, il disfattismo neutralista, che fosse imbaldanzito da una nuova “offensiva pacifista” degli Imperi Centrali. Questa fede nell’esito della nostra e della guerra degli Alleati, e questi timori di debolezza interna, erano pure nell’anima generosa del mio nipote Giovanni, caduto da vero e grande eroe il mattino del 4 corrente al M.te Zamo, sull’Altipiano dei Sette Comuni. Era uno spirito alto, animatore creatore di forza morale nei suoi soldati, che lo adoravano. Era, fra tutti i miei valorosi nipoti, il prediletto. Il nostro lutto fu grande, confortato però dal fatto che il merito di quel caro ragazzo è stato ben riconosciuto. Egli ha trovato intorno a sé, e nei superiori, anime capaci di comprenderlo: 15 giorni innanzi alla morte gli fu conferita sul campo la medaglia d’argento ed ora gli è stata proposta la medaglia d’oro, con una splendida motivazione. Era un altruista ed era anche un serio ragionatore come lo dimostrano le sue lettere, che meriterebbe di essere stampate ad ammonimento, ad incitamento. Vedrò di raccoglierle muto ufficio per me, vecchio, verso la memoria di un giovane, che mi figuravo potesse essere il mio erede spirituale. Mia moglie unisce i suoi ai miei auguri più fervidi per Lei, per tutti i Combattenti che tengono alto il nostro onore sui campi del Brenta e del Piave in faccia al mondo meravigliato e per la Patria.
Suo aff.mo amico Cosimo Bertacchi” [Torino, 23 dicembre 1917 - lettera C29-17]

Il Ten. Marchi non perde tuttavia la speranza di riavere i suoi cannoni, essendogli stato promesso la ricostituzione della batteria, e per questo si trova sulla linea del Piave da “artigliere senza pezzi”, come scrive alla madre:
 “Le mie giornate sono un po’ pesanti, perché un artigliere senza i pezzi non ha molto da fare. Mi alzo un po’ tardi la mattina; i miei ufficiali mi riferiscono le novità, faccio colazione e vado al mio osservatorio a vedere le posizioni del nemico. Dopo un po’ discendo e visito i lavori. Sono i miei appostamenti per i pezzi, che verranno e gallerie profonde perché gli uomini abbiano riparo in caso d’azione…..Il resto della giornata la passo leggendo [“…. Leggiamo moltissimi libri e belli. La vita del Cellini, i ricordi del D’Azeglio, Cirano di Bergerac, l’Ariosto, le tragedie di Eschilo, qualche tragedia moderna, qualche libro francese e delle volte libri inglesi (a forza di urli e d’improperi)” [Zona di guerra, 29 dicembre 1917 - lettera; C4-17]], chiacchierando coi miei due ufficiali rimasti con me ed osservando le linee nemiche e gli stormi di aeroplani che si scontrano….”  [Zona di guerra, 7 dicembre 1917 - lettera C15-17]
Mentre il Tenente attende impaziente e fiducioso la restituzione dei pezzi, il 2 dicembre del ’17 gli alleati francesi ed inglesi entrano in linea sul fronte italiano, proprio nella zona dove si trova e di questo incontro informa i familiari:
“…. Tutto intorno Inglesi e Francesi. Ottime truppe, veterani delle più dure battaglie. Gli Inglesi poi sono straordinari: sembra che vadano ad una festa tanto sono lieti ed eleganti” [Zona di guerra 7 dicembre 1917 - lettera C18-17]:
“…. Sono in intimo contatto colle splendide truppe alleate e confido di saper dimostrare come si battono gli Italiani.” [Zona di guerra 7 dicembre 1917 - lettera C15-17]

Nella successiva lettera del 15 dicembre, descrive la difficoltà nel comunicare con gli alleati ed in particolare con gli inglesi [Al tempo la lingua che veniva insegnata nelle scuole era il francese]:
 “... la zona si è rapidamente popolata di soldati di tutte le razze. Ci sono inglesi, irlandesi, scozzesi e francesi di ogni regione di Francia. Immaginati la babele. Se mi attacco al telefono mi rispondono in inglese o francese. Ma più comico è la per la strada e sulle posizioni quando si interroga o si è interrogati. La regola invariabile e fissa che guida i miei discorsi è questa: comincio in inglese e con disinvoltura, dopo spiego i miei concetti in francese e non essendo riuscito a farmi capire ci attacco qualche accidente in italiano: finalmente mi faccio comprendere a gesti. Gli Inglesi seguono naturalmente l’opposta via: cominciano in Italiano, spiegano in francese (diverso dal mio) sagrano [imprecano] in inglese e si fanno capire coi gesti. Una cosa emozionante. E pensare che con questo sistema discuto dei quarti d’ora con dei colleghi inglesi…” [Zona di guerra , 15 dicembre 1917 - lettera C11-17]
Nella stessa lettera il Ten. Marchi racconta un gustoso episodio sull’equivoco delle lingue:
“ …Mi arrampicavo verso un paesetto in una zona ove sono esclusivamente Francesi e trovandomi accanto ad un prete gli chiesi se la strada conduceva dove volevo andare. Mi rispose in francese ed io allora gli chiesi se fosse abbè de l’armèe. Mi rispose che era il parroco del paese e parlava peu le Francois. In seguito a che gli dissi che anch’io ero italiano e chiacchierammo nella nostra lingua con grande soddisfazione di lui che non poteva farlo altro che colla Perpetua…..”

In breve il rapporto fra le truppe italiane ed alleate divengono cameratesche:
“Carissima mamma, ti scrivo dopo una brillante serata e se la carta è un pezzo qualsiasi, spero di trovarne di migliore fra qualche giorno. Dunque stasera dopo cena abbiamo invitato gli inglesi nostri amici a venire da noi. E’ venuto un capitano, dei tenenti e un sottotenente. Vino, liquori e whisky in tavola. Abbiamo cominciato a parlare in inglese e francese. Roba da chiodi, ma ci intendevamo perfettamente. Ogni dieci minuti un toast. (Il quale sarebbe un brindisi [?] ). Abbiamo così brindato una trentina di volte e se non sono ubriaco è perché sono molto resistente. Ognuno ha narrato le sue campagne. Tutti sono stati in India in Africa e in altri siti. La lingua ufficiale è stato il francese ma un francese sui generis con molte parole inglesi e italiane. Quando il numero dei brindisi ha raggiunto la quindicina abbiamo cominciato a cantare; poi qualche coppia ha anche ballato….” [Zona di guerra 14 dicembre 1917 - lettera C5-17]

Il contatto con le truppe alleate è di qualche conforto per lo spirito assai abbattuto del Ten. Marchi ma, protraendosi ancora l’arrivo dei cannoni promessi, egli si adopera testardamente per poterli riavere e schierarli sulla linea di fronte già approntata allo scopo e per questo non esita a percorrere “vie oblique”:
“Carissima mamma, ti spedisco oggi un vaglia di 450 lire che sono i miei risparmi. Volevo spedirtene di più perché potessero eventualmente servire per il Forte dei Marmi [dove la madre e il fratello minore trascorrevano un periodo dell’estate per le sabbiature], ma siccome da un momento all’altro ci si può muovere tengo qualche soldo con me. Qui niente di nuovo e nemmeno i miei pezzi che non arrivano. Anzi scrivo in proposito stamani ai Bertacchi a Torino perché parlino se possibile con quel Generale che ha consegnato al Dott. Barsanti la medaglia del povero Arnaldo. Egli potrebbe forse fare qualcosa e rendere felice una batteria la quale non chiede niente di più giusto che quello di avere i suoi cannoni. Tu sai come io sono contrario alle vie oblique. Ma in questo caso è mio dovere farlo anche per i miei uomini….” [Zona di guerra, 14 dicembre 1917 - lettera C10-17]

Anche le raccomandazioni non riescono a far giungere i cannoni promessi e la situazione paradossale dell’artigliere senza artiglieria è risolta dal comando del Gruppo con l’invio temporaneo del Ten. Marchi, sempre in attesa dei pezzi, nel settore montano tenuto dagli alpini per progettare strade che permettano il trasporto in linea dell’artiglieria pesante:
“Carissima mamma, è tanto tempo vero che non ti scrivo una lettera? Ma che vuoi? Ho passato delle giornate di vero trambusto. Il primo dell’anno dunque me ne andai a fare quei lavori dei quali ti ho scritto. Lassù mi alzavo tutte le mattine prestissimo per essere sui lavori alle 6. Il giorno lo passavo tutto al lavoro e mangiavo fra due sassi il mio desinare che il mio attendente mi portava lassù dopo tre quarti d’ora di marcia. Immaginati che risotto fresco e che sugo condensato! Ma stavo bene egualmente ed ero contento. Dopo la strada mi hanno incaricato di un’altra strada per trainare alle posizioni dei pezzi di grossissimo calibro. Ho fatto la strada e dopo le piazzole. Fra gli altri lavori uno che mi ha dato assai pensiero è stato il raccordo di una curva che era impossibile ad essere percorsa da quegli enormi cannoni. Tale raccordo presentava qualche difficoltà tecnica e mi ha tenuto in seria apprensione sino a che non ho visto i pezzi passare con minimo cedimento del nuovo corpo stradale….” [Zona di guerra, 16 gennaio 1918 - lettera C1-18]

Ma ciò che entusiasma il Ten. Marchi è il contatto col corpo degli alpini:
“…E’ qui vicina a noi il battaglione degli alpini al quale apparteneva il povero Martinelli. Gli Alpini, che sono ora a riposo, sono venuti da noi e noi siamo andati ieri da loro. Ho avuto così i particolari della morte del Martinelli mostratosi come sempre valorosissimo. Questi alpini sono veramente eroi. I miracoli che hanno fatto sulle ultime nostre montagne sono tali da meravigliare…” [Zona di guerra, 16 gennaio 1918 - lettera C1-18]

Nella lettera successiva alla sorella la descrizione dell’alpino è fatta in maniera estremamente efficace, cogliendone le caratteristiche peculiari:
“….Il miglior ricordo di lassù rimarrà sempre per me quello dei meravigliosi alpini che ho conosciuto a riposo. Specialmente ho passato qualche tempo con i compagni del Martinelli il cui ricordo rimane splendido nel battaglione. I soldati sono tutti dei territori invasi ed hanno un modo di fare e sentire la guerra diverso da ogni altro soldato. Direi quasi che ogni azione è da loro considerata una beffa da fare al nemico. Così raccontano scherzando le cose più terribili. Ma a dire che raccontano sbaglio, perché da loro non si ha mai una narrazione dei combattimenti ma si ha piuttosto un’idea delle prove subite dalle frasi che sfuggono a questo o a quello. Il comandante del battaglione un vero eroe dice per esempio che la baionetta non serve all’assalto. Ed allora un ufficiale mi spiega che il capitano va all’assalto armato soltanto di un paletto da reticolati. Un sottotenente medico racconta che mentre medicava un ferito in linea sentì l’arrivo di un grosso calibro. Si gettò dietro una roccia e dopo il colpo non trovò più né ferito né tenda di medicazione. C’è un Dio anche per me – conclude – non sapevo proprio come medicare quel poveretto!
Quante prove hanno sostenuto i nostri alpini e quanti sacrifici ed eroismi che la Nazione ignora! Nessuna vita è paragonabile a quella che loro passano nelle trincee e d’altronde in nessun corpo ho mai trovato uno spirito così alto. In confronto noi non facciamo niente. E’ doveroso riconoscerlo…..” [Zona di guerra 19 gennaio 1918 - lettera C3-18]

Il 16 gennaio 1918 il Ten. Marchi, interrotta la progettazione delle strade in alta montagna e consegnato il materiale della Batteria 776 al Capitano Guido della Rocca, come è certificato dal verbale di trasferimento, scrive alla madre:
“….ho avuto la notizia del ritorno dei miei cannoni e insieme l’ordine di rientrare in batteria. Anziché ritornare in linea subito come speravo saremo ora di guardia ad una di quelle belle cittadine venete troppo spesso aggredite dagli aviatori nemici. Il compito è difficile tecnicamente, ma quanto a condizioni di vita si sta ottimamente…” [Zona di guerra, 16 gennaio 1918 - lettera C1-18]
e tre giorni dopo in una lettera alla sorella:
“….Ora sono qui a guardia di una bella cittadina veneta [Fontariva a 3 km da Cittadella]. Quando verrà la luna avremo da divertirci tutte le notti. Abbiamo riavuto i nostri quattro pezzi che sono ora in un campo qui vicino. Ho preparato là una bella tenda per l’ufficiale di servizio e una notte ogni quattro me ne vado a dormire là sotto per essere pronto a comandare il fuoco al primo allarme….” [Zona di guerra, 19 gennaio 1918 - lettera C3-18]
Il Ten. Mario Marchi alla postazione antiaerea


LETTERE E CARTOLINE

Zona di guerra, 12 novembre 1917 – cartolina C23-17-c
 
Zona di guerra, 14 novembre 1917 - cartolina C13-17-c 

Zona di guerra 15 novembre 1917- cartolina C14-17

Zona di guerra 27 novembre 1917; C13-17

Lucca, 19 novembre 1917 - cartolina C24-17-c

 Lucca, 30 novembre 1917 – cartolina C1-17-c

Zona di guerra 19 novembre 1917; C9-17-c

Torino, 28 agosto 1917 - lettera B4-17

Lucca, 17 dicembre 1917 – cartolina C24-17

Zona di guerra, 22 novembre 1917- cartolina C8-17-c

Zona di guerra 7 dicembre 1917 - lettera C18-17

Lucca 25 novembre 1917 - lettera C28-17

Zona di guerra, 15 dicembre 1917 – lettera C11-17

Zona di guerra, 9 dicembre 1917; cartolina C1-17

Torino, 23 dicembre 1917 - lettera C29-17



Zona di guerra, 7 dicembre 1917 - lettera C15-17]

Zona di guerra 14 dicembre 1917 - lettera C10-17

Zona di guerra, 16 gennaio 1918 - lettera C1-18

Zona di guerra 19 gennaio 1918 - lettera C3-18

LETTERE E VERBALE DI CONSEGNA DELLA 776 BATTERIA