una famiglia lucchese durante la Grande Guerra
(1914 -18)- V°
parte
____________________
SUL FRONTE DEL PIAVE
Saldamente
attestatisi sulla linea del Piave le truppe italiane attendono gli imminenti
attacchi nemici [Il comando supremo italiano, dopo una prima ritirata lungo il
Tagliamento, il 4 novembre ordina il ripiegamento generale sul Piave,
ripiegamento completato il giorno 9. La nuova linea italiana, lunga 400 km,
dall’altipiano di Asiago giunge al mare lungo la destra del Piave e si
incardina sul Monte Grappa, dove si schiera la 4° armata, a cui appartiene il
Ten. Marchi. La battaglia d’arresto inizia con le avanguardie austro-tedesche
il 10 novembre sull’Altipiano di Asiago, quindi si allarga il 12 lungo le
sponde del Piave ed il 15 novembre investe anche il settore del Grappa].
E’ un momento di relativa tregua per le operazioni militari e di riflessione
per i combattenti. Il 12 novembre il Ten. Marchi invia una cartolina alla
madre:
“Carissima mamma, per la prima volta ti scrivo un po’ con calma. Mi
trovo ottimamente colla mia batteria dopo un lungo viaggio. Non temere di
niente che siamo in molti e sicuri della vittoria. Ho scritto sempre a te e al
dottore. Ti mando l’indirizzo esatto e spero di ricevere notizie. Non ho più
saputo niente ti te ma non sto in pensiero perché capisco che le comunicazioni
non sono facili. Tanti tanti baci a tutti. Tuo Mario” [Zona di
guerra, 12 novembre 1917 – cartolina C23-17-c]
La
sconfitta, appena subita, fa nascere nei combattenti la convinzione che questa
in gran parte sia stata causata dai “nemici interni” [I soldati
combattenti comprendevano confusamente nel novero dei nemici interni i
pacifisti, i circoli politici tiepidi verso la guerra, i socialisti, gli operai
nelle fabbriche, gli industriali e tutti coloro che traevano forti guadagni
dallo stato di guerra, oltre naturalmente agli “imboscati”. In realtà “l’episodio italiano della rotta di Caporetto
suscitò un enorme allarme sociale come improvviso segno della estraneità delle
masse alle ragioni del conflitto.….La storiografia tende oggi a vedervi in primo luogo i connotati di una sconfitta
militare, largamente spiegabile con gli errori e l’imprevidenza degli alti
comandi. Nondimeno vi è larga concordanza anche nel riconoscere che la falla
così aperta mise in luce quanto profondi e larghi fossero gli stati d’animo di
stanchezza, sfiducia e estraneità, quanto minaccioso il profilarsi tra i
combattenti di una massa informe, sorda ai richiami del patriottismo,
intimamente renitente agli imperativi della mobilitazione e pronta a sottrarsi
all’inquadramento disciplinare solo che se ne offrisse l’occasione. Tutto
rimarcava con più evidenza il carattere nuovo, intrinsecamente politico e non
puramente tecnico-economico, della guerra di massa, modificando non solo le
regole della condotta militare ma anche e soprattutto quelle del dominio
sociale.” [La Storia – I grandi Problemi dell’Età Contemporanea – vol. 3
pg. 778 – ed. Garzanti 1993]] e così anche il Ten. Marchi fa propria questa tesi con
frasi brevi e taglienti indirizzate al fratello Cesare:
“....Non stare assolutamente in pensiero ed abbi fiducia nella vittoria.
Speriamo di punire egualmente i nemici interni che hanno tradito noi soldati.
In Italia non dovrebbero udirsi che parole di fede. Speriamo che sia così. ……”
[Zona di guerra, 14 novembre 1917 – cartolina C13-17-c].
ed alla
sorella Delia:
“…ho piena fiducia
scacceremo il nemico. Così potessimo sterminare i nemici interni che ci hanno
accoltellato nella schiena!...” [ Zona di guerra, 15
novembre 1917 – cartolina C14-17-c ].
In forma più
ampia l’argomento è affrontato in una lettera del 27 novembre, indirizzata
ancora alla sorella:
“…..Essere qui i questi giorni è
cosa da rendere veramente lieti. E’ questo il solo posto dove dovrebbero essere
gli italiani. Ma anche all’interno si deve combattere e da tutti. Combatti con
fede ogni voce malvagia, ogni notizia tendente a deprimere gli animi. Nelle
case e nell’ospedale mostrati serena e piena di fiducia. Se la propaganda della
nostra guerra fosse stata fatta da tutti forse non si sarebbe avuto il
disastro. Fede ora e coraggio per la riscossa! Quando prima un ignorante diceva
che era da augurarsi solo la pace chi lo contraddiceva? Chi gli dimostrava la
santità della nostra guerra? E così i tedeschi e i traditori hanno potuto fare
propaganda da soli. Questo non deve essere più. Affermo che qui sulle linee c’è
la più grande fede e che siamo decisi a non lasciare avanzare i barbari di un
passo. Non manchiamo di niente ed accetteremo qualsiasi prova…..” [Zona di
guerra 27 novembre 1917;- cartolina C13-17]
Anche a casa la
convinzione, che Caporetto derivi da un tradimento interno, è assai radicata ed
il fratello Cesare, certamente influenzato dall’ambiente studentesco di cui fa
parte, risponde:
“Caro Mario, contro i nemici esterni voi; contro i nemici interni e i
vigliacchi noi ed il nostro disprezzo.” [Lucca, 19 novembre 1917 - cartolina
C24-17-c]
e la madre:
“…Siamo certi che la calata in Italia ai barbari li costerà salata.
Vorrei però vedere puniti chi ne ha avuto la colpa. Speriamo ed auguriamo che
per quelli non ci sia pietà…Abbiamo fiducia nell’esercito ma un po’ di
propaganda buona sarebbe necessaria nelle campagne dove basta poco a rialzare e
abbassare il morale. Io faccio quello che posso, tu sai dove, ma ci sono tante
teste dure [La madre si riferisce ai mezzadri e ai coltivatori diretti
della campagna intorno a Fossa all’Abate, dove la famiglia trascorre le estati
del tempo di guerra. Nelle campagne, per la mancanza di braccia e per i lutti,
la guerra è assai mal vista; fra il 1915 e il 1918 l’esercito operante fu di
4.300.000 unità, di cui 2.500.000 contadini, arruolati quasi tutti in fanteria,
corpo che sopportò il 95% delle perdite] e specialmente poi se è scarso il
pane…” [Lucca, 30 novembre 1917 – cartolina C1-17-c].
Il Ten. Marchi
rassicura i familiari:
“…I nostri soldati sono
meravigliosi. La propaganda infame li aveva abbattuti in parte, ma ora tutti
hanno ritrovato lo spirito antico…[
Dopo Caporetto il Comando supremo militare comprese che “si imponeva la necessità di una svolta, nelle strategie del controllo
sociale, da una “disciplina della coercizione” a una “disciplina di
persuasione”; o meglio, di una combinazione tra i due momenti che, se trovava
nella guerra il terreno di applicazione privilegiato e in Caporetto un momento
di accelerazione, prolungava le sue valenze ben aldilà di quelle vicende.”
[La Storia – I grandi Problemi dell’Età Contemporanea – vol. 3 pg. 778 – ed.
Garzanti 1993] [Zona di guerra 19 novembre 1917; C9-17-c ]
Gli appunti sul
taccuino del Ten. Marchi, interrotti al momento dell’affannosa discesa dal
Monte Tre Croci, riprendono brevemente dall’11 novembre al 20 con l’indicazione
di dati tecnici e del movimento delle truppe nemiche, per concludersi
definitivamente con la trascrizione del bollettino di guerra del generale Diaz
del 24 novembre.
Segnalazioni:
11 Novembre
1917
Dal Com. di
Gruppo: Riservato personale
N° 10975 Prot.
Op. 6 nov. 1917
Oggetto.
Segnalazioni con pistole Very
Si trasmette
copia del foglio 15027 A. del Com. di Armata e facendo riserva di comunicare le
decisioni del Comando stesso nei riguardi dei colori da adottarsi per ogni
tratto del fronte. Si informa che questo nei riguardi delle segnalazioni con
pistole Very, è stato diviso come segue:
1°
Dall’osteria Montenera per M. Tomba e M. Monfenera al Piave e a Pederobba
(esclusa) quindi la strada Pederobba – Vettorazzi Fossagno (compreso)
2° Da
Pederobba (escluso) lungo il Piave e Pieve (incluso)quindi la strada Pieve –
Ornino – Cornuda – Meser – Cappella.
3° Da Pieve
(escluso) per la testata di Ponte di Vidor e le Giave (?) di Ciano a
Rivaserea (?) (incluso); quindi la
strada Rivasecca Cornuta.
D’ordine: il
C. S. M. [firma illeggibile]
Per opportuna
conoscenza e norma significando che i colori stabiliti per ciascun settore sono
i seguenti:
1° Tratto di
ost. Montenera - Pederobba
(incluso) Bianco
2° Tratto di
Pederobba (escluso) – Pieve (incluso) Rosso
3° Tratto di Pieve (escluso) Rivasecca
(incluso) Verde
Comando IV °
Armata
15027 Prot.
Segnalazioni
con pistole Very
Allo scopo di
assicurare il pronto intervento della artiglieria su qualsiasi tratto del
fronte dispongo che si adottino le seguenti modalità di segnalazione:
1°- Tutto la
fronte (sic!) dell’Armata verrà suddivisa in vari tratti a cominciare dalla sinistra.
A ciascun tratto verrà attribuito un colore che sarà quello della segnalazione
per urgenti richieste di fuoco in quel tratto. I colori si succederanno a
cominciare dalla sinistra nel seguente ordine Bianco, Rosso, Verde e
successivamente Bianco, Rosso etc.
2°- Le
segnalazioni saranno costituite dal lancio prolungato di stelle del colore
stabilito, lungo tutto il tratto del fronte attaccato.
3°- Per poter
ottenere che la successione dei colori lungo tutta la fronte sia quella
stabilita al ?? occorre che i corpi d’armata in linea mi comunichino successivamente
a cominciare dalla sinistra ed al più presto la suddivisione in tratti fatta
del proprio fronte.
4°- Non sono
ammesse altre segnalazioni colle pistole very oltre a quelle di richiesta del
fuoco. L’ordine di cessare il fuoco dovrà essere dato con altri sistemi di
comunicazione, per impedire che il nemico possa ingannare la nostra
artiglieria.
5°- Entro la
giornata di domani intendo conoscere la suddivisione del fronte di cui al [non leggibile]. Mi
riservo di trasmettere congruo numero di copie del completo sistema di
segnalazione lungo tutta la fronte dell’armata, finché possa essere portata a
conoscenza di tutti i comandi fino a quelli compagnia e di batteria.
Il Com. della
Armata
Prime operazioni offensive dell’esercito
austriaco:
20 Nov. 1917
ore 2,45 - Dalla pattuglia di collegamento si
segnalano movimenti di truppe verso Abbazia. Le mitragliatrici hanno già aperto
il fuoco. Ordine alla 75°di sparare 5 gr. su Abbazia. Bene
23 Nov. 1917
A letto con tonsillite presso il Com. di Gruppo. Il
S.Ten. Ognesna viene a riferire che una granata nemica ha ferito il soldato
Lena presso l’osservatorio di Batteria. [Il soldato Fabio Lena è originario di Ponte a
Serraglio, frazione di Bagni di Lucca, da cui proviene il Ten. Marchi. “Oggi
mi è capitato qui in caserma e proprio al mio reparto il figlio del Lena
Liborio dei Bagni di Lucca. Il padre non è stato un nostro amico ma il figliolo
mi sembra un buon ragazzo”
[Torino
28 agosto 1917 - lettera B4-17]. Quando il Lena, dopo l’amputazione
della mano viene trasferito all’ospedale militare di Lucca la sorella del Ten.
Marchi scrive: “Carissimo Mario, una notizia che ti può far
piacere è che Fabio Lena, dopo aver tanto sofferto, si trovi ora con noi alla
Croce Rossa. ….Sono andata subito a trovarlo e ti dirò che sono rimasta del suo
coraggio veramente ammirevole! Mi ha parlato di te con vero affetto, mi ha
raccontato di quando ti vide per la prima volta [al battaglione nella
caserma di Torino] e gli sembrò di riconoscerti, di quando domandasti se c’erano toscani nella
batteria e trovasti lui; “ed ora che aveva avuto la fortuna di esser con lui”
ha soggiunto” mi è toccato partire…..” Se tu sapessi come ci si sente piccine
davanti al coraggio e al dolore di voi soldati!” [Lucca, 17 dicembre 1917 – cartolina C24-17].
Alle ore 10,30 il nemico ha aperto il fuoco contro la
batteria 149 di San Raffaele. Un colpo nostro è caduto presso l’oss. di
batteria ed ha ferito Fabio Lena asportandogli in parte la mano sinistra.
Dalla 2° sez. Sanità di Pacadene mi si avverte che il
Lena è stato amputato.
24 Nov. 1917
Bollettino di guerra 24 Nov.
Sul fronte montano dell’Altopiano d’Asiago al Piave
poderose puntate avversarie lungamente preparate dal tiro d’artiglieria e
tenacemente eseguite fallirono tutte. Nel piano, nuclei nemici che tentarono in
parte il passaggio del Piave vennero rovesciati nel fiume a cannonate. Tre
velivoli avversari furono abbattuti dai nostri antiaerei.
Gli appunti si
interrompono improvvisamente perché si è verificata una situazione che per
tutto il resto della guerra provocherà cruccio e tormento al Ten. Marchi.
Giunto sulla
linea del Piave, dopo aver salvato con i suoi soldati la batteria
dall’accerchiamento austriaco, scrive alla madre:
“….. Dove ora mi trovo non posso naturalmente dirti perché non si deve
assolutamente parlare delle attuali posizioni. Sono appostato presso una
collinetta ed ho contro a me dei monti che mi ricordano le Pizzorne. Qui
purtroppo non avrò molto da combattere perché la posizione è tale che il nemico
non tenterà di sfondare. Spero di essere più fortunato quando ci lanceremo
avanti. E che sia presto!” [Zona di guerra, 22 novembre 1917- cartolina C8-17-c]
A questa lettera
la madre risponde:
“….Non ho mai dubitato che tu non ti sia portato da forte e coraggioso
perché ti ho veduto in altre circostanze dolorose. Sii coraggioso si, ma al
tempo stesso pensa che bisogna cercare di salvarsi la vita; è un dovere anche
quello verso la patria e la famiglia, se si muore non siamo più utili a nessuno….”
[Lucca
25 novembre 1917 - lettera C28-17]
Il patriottismo
che infiamma il figlio gli fa ritenere di svolgere un ruolo poco meritevole,
perché la posizione tenuta sulla linea del Piave presenta rischi limitati ed in
altra lettera, indirizzata ancora alla madre, fustiga il proprio animo perché
talvolta vittima di tentennamenti:
“… Qualche volta, vedi, il piccolo egoismo trionfa. Quando ci si trova
di notte sotto l’acqua o in un rifugio, quando non si dorme e si ha freddo o
quando si hanno altre preoccupazioni, viene in mente una cameretta calda in
casa o in ufficio tranquillo o la sala di officina. E il diavolo tentatore
cerca di appoggiare il sentimento egoistico con ragionamenti che hanno qualche
parvenza di verità: Non saresti meglio utilizzato tu, ingegnere in officina?
Non provvederesti all’avvenire di un fratellino che devi considerare un
figliuolo ? [La data di nascita del fratello minore Cesare è il 1903,
mentre quella del Ten. Marchi è il 1890] Ed altri belli argomenti. E si rimane un
po’ incerti. Ma poi la ragione quella vera dice che ora non si
deve essere ingegneri ma Italiani e soldati e che è meglio provvedere
all’educazione di un figliolo coll’esempio presente che non pensando al suo
futuro; che i patrimoni veri non sono i materiali ma i morali; e che bisogna
stare qui di fronte al nemico perché questo figliolo possa essere tranquillo e
andar a scuola e non aver bastonate dagli sgherri austriaci. E quando poi si
sente dire dalla mamma che non vorrebbe vederti a casa come tanti imboscati, oh
come si riconosce quale dei due ragionamenti era il vero! Tutti i miei amici
ormai hanno pagato il lor tributo. Questa catastrofe li ha tutti travolti;
Massagli ed Andreucci sono prigionieri, Martinelli e tanti altri sono morti.
Quando penso che io mi sono salvato e sono ancora di contro al nemico sento una
gioia che non ti so descrivere.” [Zona di guerra, 15 dicembre 1917 –
cartolina C11-17].
Il motto del
fratello minore “contro i nemici esterni voi” è un imperativo categorico ed al
momento vissuto con la massima intensità.
Come un fulmine
a ciel sereno, nei primi giorni di dicembre del ‘17, il Ten. Marchi è raggiunto
dall’ordine di consegnare i pezzi della sua batteria:
“…. ad un gruppo, che non solo non aveva saputo salvare i suoi cannoni
ma che si era dimenticato di prendere anche i binocoli dal momento che
richiedeva i miei.” [Zona di guerra, 9 dicembre 1917; lettera C1-17].
Quest’ordine
ingenera nel suo animo ira e sdegno e, sull’onda dell’emozione, prospetta
soluzioni estreme:
“…Io sono stato chiamato presso il gruppo, ma piuttosto che rimanere
farò domanda per i reparti di assalto…”. [Zona di guerra, 9 dicembre 1917 - lettera
C1-17]
Lo sdegno è
dettato dall’essere stato trattato, assieme ai suoi uomini, alla stregua degli
sbandati di Caporetto e per questo informa i conoscenti e in primis il dott.
Angelo Barsanti, che considera come un padre:
“Carissimo Signor Dottore, Le scrivo pieno di tristezza per la sorte
della mia batteria. Da due giorni eravamo arrivati qui per ricostituirsi e
speravo ormai di riavere i miei cannoni e di poter ritornare colla mia batteria
incontro al nemico. Invece parte dei miei uomini parte ora per recarsi lontano
a lavorare sulle strade. Questo trattamento, giustamente inflitto agli
artiglieri che non hanno salvato i propri pezzi, è ora toccato ai miei bravi
soldati che hanno salvato i loro. Non le dico il mio strazio. Noi chiediamo
solo di combattere e ne avevamo il diritto come tutti quelli che hanno salvato
i loro cannoni. Ed invece perché abbiamo dovuto cedere i pezzi ad un altro
gruppo siamo trattati come sbandati….” [Zona di guerra, 7 dicembre 1917 -
lettera C15-17]
La famiglia
Bertacchi, conosciuta e frequentata mentre studiava al Politecnico di Torino,
così risponde:
“Caro Sig. Mario, mia moglie, che ha tanto gradita la sua lettera in data
del 14, ma che non può scrivere se non a fatica e con dolore (causa il suo
disturbo all’aorta) ha pregato me di far le sue parti. E di dirle che si faccia
coraggio e abbia fiducia che i cannoni non le mancheranno. La nostra resistenza
sul M.te Grappa e alle due ali del medesimo, è semplicemente
miracolosa: ed è tale avvenimento da ispirare la fede più salda nella buona
riuscita, non ostante la perdita gravissima ed improvvisa del ponte
sull’Isonzo. Ed anzi, appunto in questo sta la grandezza della resistenza del
nostro Esercito, resistenza superiore a quella dei Francesi a Verdun, poiché i
Francesi erano appoggiati ad una linea da lungo tempo fortificata e munita e in
questo luogo si trovavano organizzati. Mentre noi ci siamo trovati in posizioni
nuove, non munite e con un esercito disorganizzato e avvilito da una disfatta
scura e misteriosa, tanto più atta a gettare il panico e la sfiducia negli
animi, allargando gli effetti funesti di un fatto non ben conosciuto. Dunque
noi abbiamo ragione di nuova fiducia nell’avvenire della guerra. Un solo punto
può darci a temere: la debolezza interna, il disfattismo neutralista, che fosse
imbaldanzito da una nuova “offensiva pacifista” degli Imperi Centrali. Questa
fede nell’esito della nostra e della guerra degli Alleati, e questi timori di
debolezza interna, erano pure nell’anima generosa del mio nipote Giovanni,
caduto da vero e grande eroe il mattino del 4 corrente al M.te Zamo,
sull’Altipiano dei Sette Comuni. Era uno spirito alto, animatore creatore di
forza morale nei suoi soldati, che lo adoravano. Era, fra tutti i miei valorosi
nipoti, il prediletto. Il nostro lutto fu grande, confortato però dal fatto che
il merito di quel caro ragazzo è stato ben riconosciuto. Egli ha trovato
intorno a sé, e nei superiori, anime capaci di comprenderlo: 15 giorni innanzi
alla morte gli fu conferita sul campo la medaglia d’argento ed ora gli è stata
proposta la medaglia d’oro, con una splendida motivazione. Era un
altruista ed era anche un serio ragionatore come lo dimostrano le sue lettere,
che meriterebbe di essere stampate ad ammonimento, ad incitamento. Vedrò di
raccoglierle muto ufficio per me, vecchio, verso la memoria di un giovane, che
mi figuravo potesse essere il mio erede spirituale. Mia moglie unisce i suoi ai
miei auguri più fervidi per Lei, per tutti i Combattenti che tengono alto il
nostro onore sui campi del Brenta e del Piave in faccia al mondo meravigliato e
per la Patria.
Suo aff.mo amico Cosimo Bertacchi” [Torino, 23 dicembre 1917 -
lettera C29-17]
Il Ten. Marchi
non perde tuttavia la speranza di riavere i suoi cannoni, essendogli stato
promesso la ricostituzione della batteria, e per questo si trova sulla linea
del Piave da “artigliere senza pezzi”, come scrive alla madre:
“Le mie giornate sono un
po’ pesanti, perché un artigliere senza i pezzi non ha molto da fare. Mi alzo
un po’ tardi la mattina; i miei ufficiali mi riferiscono le novità, faccio
colazione e vado al mio osservatorio a vedere le posizioni del nemico. Dopo un
po’ discendo e visito i lavori. Sono i miei appostamenti per i pezzi, che
verranno e gallerie profonde perché gli uomini abbiano riparo in caso
d’azione…..Il resto della giornata la passo leggendo [“…. Leggiamo moltissimi
libri e belli. La vita del Cellini, i ricordi del D’Azeglio, Cirano di
Bergerac, l’Ariosto, le tragedie di Eschilo, qualche tragedia moderna, qualche
libro francese e delle volte libri inglesi (a forza di urli e d’improperi)” [Zona di guerra, 29 dicembre 1917 - lettera; C4-17]],
chiacchierando coi miei due ufficiali rimasti con me ed osservando le linee
nemiche e gli stormi di aeroplani che si scontrano….” [Zona di guerra, 7 dicembre 1917 -
lettera C15-17]
Mentre il
Tenente attende impaziente e fiducioso la restituzione dei pezzi, il 2 dicembre
del ’17 gli alleati francesi ed inglesi entrano in linea sul fronte italiano,
proprio nella zona dove si trova e di questo incontro informa i familiari:
“…. Tutto intorno Inglesi e Francesi. Ottime truppe, veterani delle più
dure battaglie. Gli Inglesi poi sono straordinari: sembra che vadano ad una festa
tanto sono lieti ed eleganti” [Zona di guerra 7 dicembre 1917 -
lettera C18-17]:
“…. Sono in intimo contatto colle splendide truppe alleate e confido di
saper dimostrare come si battono gli Italiani.” [Zona di
guerra 7 dicembre 1917 - lettera C15-17]
Nella
successiva lettera del 15 dicembre, descrive la difficoltà nel comunicare con
gli alleati ed in particolare con gli inglesi [Al tempo la lingua che
veniva insegnata nelle scuole era il francese]:
“... la zona si è
rapidamente popolata di soldati di tutte le razze. Ci sono inglesi, irlandesi,
scozzesi e francesi di ogni regione di Francia. Immaginati la babele. Se mi
attacco al telefono mi rispondono in inglese o francese. Ma più comico è la per
la strada e sulle posizioni quando si interroga o si è interrogati. La regola
invariabile e fissa che guida i miei discorsi è questa: comincio in inglese e
con disinvoltura, dopo spiego i miei concetti in francese e non essendo
riuscito a farmi capire ci attacco qualche accidente in italiano: finalmente mi
faccio comprendere a gesti. Gli Inglesi seguono naturalmente l’opposta via:
cominciano in Italiano, spiegano in francese (diverso dal mio) sagrano [imprecano] in inglese e si fanno capire coi
gesti. Una cosa emozionante. E pensare che con questo sistema discuto dei
quarti d’ora con dei colleghi inglesi…” [Zona di guerra , 15 dicembre 1917 -
lettera C11-17]
Nella stessa
lettera il Ten. Marchi racconta un gustoso episodio sull’equivoco delle lingue:
“ …Mi arrampicavo verso un paesetto in una zona ove sono esclusivamente
Francesi e trovandomi accanto ad un prete gli chiesi se la strada conduceva
dove volevo andare. Mi rispose in francese ed io allora gli chiesi se fosse abbè
de l’armèe. Mi rispose che era il parroco del paese e parlava
peu le Francois. In seguito a che gli dissi che anch’io ero
italiano e chiacchierammo nella nostra lingua con grande soddisfazione di lui
che non poteva farlo altro che colla Perpetua…..”
In breve il
rapporto fra le truppe italiane ed alleate divengono cameratesche:
“Carissima mamma, ti scrivo dopo una brillante serata e se la carta è
un pezzo qualsiasi, spero di trovarne di migliore fra qualche giorno. Dunque
stasera dopo cena abbiamo invitato gli inglesi nostri amici a venire da noi. E’
venuto un capitano, dei tenenti e un sottotenente. Vino, liquori e whisky in
tavola. Abbiamo cominciato a parlare in inglese e francese. Roba da chiodi, ma
ci intendevamo perfettamente. Ogni dieci minuti un toast. (Il quale sarebbe un
brindisi [?] ). Abbiamo così brindato una trentina di
volte e se non sono ubriaco è perché sono molto resistente. Ognuno ha narrato
le sue campagne. Tutti sono stati in India in Africa e in altri siti. La lingua
ufficiale è stato il francese ma un francese sui generis con
molte parole inglesi e italiane. Quando il numero dei brindisi ha raggiunto la
quindicina abbiamo cominciato a cantare; poi qualche coppia ha anche ballato….”
[Zona
di guerra 14 dicembre 1917 - lettera C5-17]
Il contatto con
le truppe alleate è di qualche conforto per lo spirito assai abbattuto del Ten.
Marchi ma, protraendosi ancora l’arrivo dei cannoni promessi, egli si adopera
testardamente per poterli riavere e schierarli sulla linea di fronte già
approntata allo scopo e per questo non esita a percorrere “vie oblique”:
“Carissima mamma, ti spedisco oggi un vaglia di 450 lire che sono i
miei risparmi. Volevo spedirtene di più perché potessero eventualmente servire
per il Forte dei Marmi [dove la madre e il fratello minore trascorrevano un
periodo dell’estate per le sabbiature], ma siccome da un momento
all’altro ci si può muovere tengo qualche soldo con me. Qui niente di nuovo e
nemmeno i miei pezzi che non arrivano. Anzi scrivo in proposito stamani ai
Bertacchi a Torino perché parlino se possibile con quel Generale che ha
consegnato al Dott. Barsanti la medaglia del povero Arnaldo. Egli potrebbe
forse fare qualcosa e rendere felice una batteria la quale non chiede niente di
più giusto che quello di avere i suoi cannoni. Tu sai come io sono contrario
alle vie oblique. Ma in questo caso è mio dovere farlo anche per i miei
uomini….” [Zona di guerra, 14 dicembre 1917 - lettera C10-17]
Anche le
raccomandazioni non riescono a far giungere i cannoni promessi e la situazione
paradossale dell’artigliere senza artiglieria è risolta dal comando del Gruppo
con l’invio temporaneo del Ten. Marchi, sempre in attesa dei pezzi, nel settore
montano tenuto dagli alpini per progettare strade che permettano il trasporto
in linea dell’artiglieria pesante:
“Carissima mamma, è tanto tempo vero che non ti scrivo una lettera? Ma
che vuoi? Ho passato delle giornate di vero trambusto. Il primo dell’anno
dunque me ne andai a fare quei lavori dei quali ti ho scritto. Lassù mi alzavo
tutte le mattine prestissimo per essere sui lavori alle 6. Il giorno lo passavo
tutto al lavoro e mangiavo fra due sassi il mio desinare che il mio attendente
mi portava lassù dopo tre quarti d’ora di marcia. Immaginati che risotto fresco
e che sugo condensato! Ma stavo bene egualmente ed ero contento. Dopo la strada
mi hanno incaricato di un’altra strada per trainare alle posizioni dei pezzi di
grossissimo calibro. Ho fatto la strada e dopo le piazzole. Fra gli altri
lavori uno che mi ha dato assai pensiero è stato il raccordo di una curva che
era impossibile ad essere percorsa da quegli enormi cannoni. Tale raccordo
presentava qualche difficoltà tecnica e mi ha tenuto in seria apprensione sino
a che non ho visto i pezzi passare con minimo cedimento del nuovo corpo
stradale….” [Zona di guerra, 16 gennaio 1918 - lettera C1-18]
Ma ciò che
entusiasma il Ten. Marchi è il contatto col corpo degli alpini:
“…E’ qui vicina a noi il battaglione degli alpini al quale apparteneva
il povero Martinelli. Gli Alpini, che sono ora a riposo, sono venuti da noi e
noi siamo andati ieri da loro. Ho avuto così i particolari della morte del
Martinelli mostratosi come sempre valorosissimo. Questi alpini sono veramente
eroi. I miracoli che hanno fatto sulle ultime nostre montagne sono tali da
meravigliare…” [Zona di guerra, 16 gennaio 1918 - lettera C1-18]
Nella lettera
successiva alla sorella la descrizione dell’alpino è fatta in maniera
estremamente efficace, cogliendone le caratteristiche peculiari:
“….Il miglior ricordo di lassù rimarrà sempre per me quello dei
meravigliosi alpini che ho conosciuto a riposo. Specialmente ho passato qualche
tempo con i compagni del Martinelli il cui ricordo rimane splendido nel
battaglione. I soldati sono tutti dei territori invasi ed hanno un modo di fare
e sentire la guerra diverso da ogni altro soldato. Direi quasi che ogni azione
è da loro considerata una beffa da fare al nemico. Così raccontano scherzando
le cose più terribili. Ma a dire che raccontano sbaglio, perché da loro non si
ha mai una narrazione dei combattimenti ma si ha piuttosto un’idea delle prove
subite dalle frasi che sfuggono a questo o a quello. Il comandante del
battaglione un vero eroe dice per esempio che la baionetta non serve
all’assalto. Ed allora un ufficiale mi spiega che il capitano va all’assalto
armato soltanto di un paletto da reticolati. Un sottotenente medico racconta
che mentre medicava un ferito in linea sentì l’arrivo di un grosso calibro. Si
gettò dietro una roccia e dopo il colpo non trovò più né ferito né tenda di
medicazione. C’è un Dio anche per me – conclude – non sapevo proprio come
medicare quel poveretto!
Quante prove hanno sostenuto i nostri alpini e quanti sacrifici ed
eroismi che la Nazione ignora! Nessuna vita è paragonabile a quella che loro
passano nelle trincee e d’altronde in nessun corpo ho mai trovato uno spirito
così alto. In confronto noi non facciamo niente. E’ doveroso riconoscerlo…..”
[Zona
di guerra 19 gennaio 1918 - lettera C3-18]
Il 16 gennaio
1918 il Ten. Marchi, interrotta la progettazione delle strade in alta montagna
e consegnato il materiale della Batteria 776 al Capitano Guido della Rocca,
come è certificato dal verbale di trasferimento, scrive alla madre:
“….ho avuto la notizia del ritorno dei miei cannoni e insieme l’ordine
di rientrare in batteria. Anziché ritornare in linea subito come speravo saremo
ora di guardia ad una di quelle belle cittadine venete troppo spesso aggredite
dagli aviatori nemici. Il compito è difficile tecnicamente, ma quanto a
condizioni di vita si sta ottimamente…” [Zona di guerra, 16 gennaio 1918 -
lettera C1-18]
e tre giorni
dopo in una lettera alla sorella:
“….Ora sono qui a guardia di una bella cittadina veneta [Fontariva a 3 km da Cittadella].
Quando verrà la luna avremo da divertirci tutte le notti. Abbiamo riavuto i
nostri quattro pezzi che sono ora in un campo qui vicino. Ho preparato là una
bella tenda per l’ufficiale di servizio e una notte ogni quattro me ne vado a
dormire là sotto per essere pronto a comandare il fuoco al primo allarme….”
[Zona
di guerra, 19 gennaio 1918 - lettera C3-18]
LETTERE E CARTOLINE
Zona di
guerra, 12 novembre 1917 – cartolina C23-17-c
Zona di guerra, 14 novembre 1917 - cartolina C13-17-c
Zona di
guerra 15 novembre 1917- cartolina C14-17
Zona di
guerra 19 gennaio 1918 - lettera C3-18
Nessun commento:
Posta un commento