venerdì 10 ottobre 2014

Il Dottor Giacomo V. Pellegrini, Direttore della Repubblica Giacobina di Lucca, Anziano e Gonfaloniere della Repubblica Democratica e Senatore ......


Il dottor Giacomo Vincenzo Pellegrini del Borgo, membro del Direttorio della Repubblica Democratica Lucchese del 1799, Anziano e Gonfaloniere della Repubblica Democratica “Temperata” del 1802 e Senatore del Principato.

Il dottor Giacomo è ritratto a mezzo busto in due piccoli quadri: il primo ritratto, a carboncino, lo ritrae in età matura con uno sguardo attento e penetrante, il secondo, ad acquerello, con gli occhi chiusi “non tanto per essere stato tratto dalla maschera di gesso ricavata in punto di morte, quanto per esprimere la somma modestia e pietà che lo distinse in vita” [Dalle note del nipote Prof. Francesco Maria Pellegrini].



Maschera mortuaria in gesso.

L’impressione che si ricava dalle due immagini è perfettamente aderente alla descrizione fatta dal figlio Giuseppe [Dalla “vita del padre” scritta nel 1842 dal figlio Paolino Maria, frate del convento di S.Romano in Lucca - Archivio Pellegrini - ]: “Fu di statura mediocre, piuttosto piccola che grande, di fronte aperta e spaziosa, connotata a gravità di forti e nobili rughe. Bianco era di carne tendendo al quanto al pallido, gli occhi erano risplendenti per nera pupilla lucidissima più in dentro che in fuori, difesi da poco ciglio. Era il suo volto di aspetto serio, di molta e viva espressione imponente nel suo fisico magro e lunghetto e sull’ultimo un poco macilento. Ebbe non folta barba, naso aquilino, parco riso, ma piacevole sulle rosse labbra. Fu di gesto contegnoso, di maniere semplici, naturali, ma obbliganti, di passo grave ed al tempo stesso spedito, con tutti si contenne giusto, rispettivamente maggiori, uguali, minori a se.
Giacomo Vincenzo Pellegrini nacque nella casa paterna, in Borgo a Mozzano, il 23 novembre 1761 dalla contessa Celestina Santini e da Paolino Maria, terzo dei primogeniti nella famiglia Pellegrini a portare questo nome, dottore in  utroque, fondatore dello studio legale, che si tramanderà di generazione in generazione fino all’avvocato Enrico, morto nel 1943. Il padre di Giacomo Vincenzo raccolse una libreria legale completa per i tempi e arricchì la già notevolissima biblioteca esistente, postillando i volumi in latino.
Per continuare la professione forense di famiglia Giacomo Vincenzo, dopo i primi studi condotti sotto la guida del padre e in seguito presso il seminario di Lucca, si iscrive all’università di Pisa, dove affronta in maniera assidua e severa gli studi di avvocato, tanto che “si dice come non intervenisse al gioco del ponte” [Dalla “vita del padre], che al tempo rappresentava, assai più di oggi, un momento di grande festa e spensieratezza per la città.
Il Pellegrini corona gli studi universitari con una laurea con lode e nella legge civile e nella legge canonica, quindi torna al Borgo per accudire agli affari di casa e per intraprendere la professione di avvocato, inaugurata dal padre, essendo questi da poco scomparso.
Il possesso di una ricca e approfondita conoscenza nelle istituzioni legali, oggetto della sua attività, non è sufficiente ad appagare i suoi interessi, così il dottor Giacomo “si applicò per maggior cultura di spirito alla metafisica, alla fisica, e nelle rispettive loro parti allo studio delle belle lettere e, per quanto il comportò il suo stato laicale, allo studio della divina scrittura” [Dalla “vita del padre]. Con riferimento a questo impegno, compaiono nell’archivio Pellegrini richieste di licenza per poter leggere libri posti all’indice, indirizzate alle autorità ecclesiastiche di Roma. Inoltre “ possedette la lingua italiana, conobbe bene la latina, intendeva la francese, non fu digiuno della greca.” [Dalla “vita del padre]
Avendo il fratello Paolo abbracciato la carriera ecclesiastica e rinunciato alla eredità, il dottor Giacomo ritiene di essere abbastanza fornito di mezzi per mantenere decorosamente la famiglia e nel 1776 sposa la signora Teresa Pierotti, figlia devota di genitori religiosissimi, e scrive nell’occasione: “prego il signore Iddio che protegga e accompagni incessantemente colla Sua benedizione questo mio matrimonio, come ha disposto che fosse trattato e conchiuso.” [Dalla “vita del padre].
Seguono anni prosperi e sereni per la famiglia Pellegrini, ma coincidono con un periodo di grandi mutamenti politici e sociali in Europa e in Italia. Si è conclusa la grande rivoluzione dell’89, il Direttorio governa la Francia, Napoleone è sceso in Italia e si sono formate la repubblica cisalpina e la repubblica di Genova. Le idee rivoluzionarie penetrano e si diffondono in ogni stato, così anche nell’ antica repubblica oligarchica lucchese si formano club giacobini.
“Verso la fine dell’anno 1795 convertendosi le repubbliche da aristocratiche in democratiche per opera dei Francesi onde tutti temevano, l’avvocato Pellegrini per quanto il comportavano le circostanze se ne stava quieto e tranquillo in seno alla sempre nuova e crescente figliolanza in Borgo suo nativo domicilio e dove e quando credette nascostamente nelle terre vicine.” [Dalla “vita del padre]. Lo scritto è generico, in parte oscuro e volutamente ignora l’attività politica che il padre dovette esercitare nel periodo che precede l’avvento della repubblica giacobina lucchese, ma spesso è necessario intuire ciò che un testo non può dire e le sue significative assenze.
Il dottor Giacomo doveva in quegli anni aver raggiunto una notorietà ed una stima che superavano certamente i confini del Borgo, se fu annoverato fra i ventisei lucchesi da ascrivere alla nobiltà personale. Così, infatti, il 28 agosto 1797 scrive al Pellegrini Carlo Ambrogio Vecchi, che si professa amico e dichiara di essere stato sollecitato a ciò dal marchese Lucchesini: “La Patria vuole da voi il sacrificio della Libertà, e vuole che dalla vita privata facciate passaggio alla pubblica, e voi dovete ubbidire. Se consultate la Religione, il bene pubblico, la ragione, tutto vi dee muovere a concorrere a’ suoi interessi, e alla di Lei necessità. Ma dove vanno a parare voi mi direte siffatte parole? Ecco: che voi concorriate alla nobiltà lucchese, appunto perché co vostri lumi e la vostra condotta potete riuscire utilissimo alla Patria.”
Nella lettera è poi riportato la volontà del Consiglio Generale della Repubblica di immettere al Governo in qualità di nobili persone che si distinguano per la loro situazione e condotta, come il Sig. Dott. Pellegrini, e termina: “ Vi prego dunque a non tradire le speranze della Religione, della patria degli Amici, trovandoci in sommo bisogno io non dico di uomini onesti, ma di veri cristiani.” [Arch. Pellegrini]
In effetti, il Consiglio generale nel settembre del 1797 delibera di ascrivere alla nobiltà originaria sette famiglie e ventisei alla nobiltà personale, nell’estremo tentativo di salvare la vetusta repubblica oligarchica.[ Storia di Lucca – A. Mancini]
Il dottor Giacomo il 31 agosto, appena tre giorni dal ricevimento della lettera dell’amico, risponde: “ Non mai per tempo alcuno ho io ricevuto, né penso riceverò in vita una lettera di maggior rilevanza, e nello stesso tempo di maggior onoreficienza per me e per la mia famiglia della pregiata vostra del 28 cadente, e vi assicuro che, se la situazione mia fusse stata sostenibile dell’onore che mi proponete, avrei avuto che più pensare alla mia debolezza ed insufficienza. Ma permettetemi, che apertamente vi dica, che la ristrettezza delle mie finanze e la scarsità dei miei talenti sono tali, che non possono sostenere decorosamente né meritevolmente  corrispondeva alla suprema dignità di Nobile Lucchese, né in questo voi, che mi conoscete, avete che replicare.
Per quanto dunque io riconosca onorevole per me la proposta, che voi mi fate di concorrere alla Nobiltà Lucchese, ed anzi la tenga per una grazia singolarissima fatta a me ammogliato senza i favorevoli sussidi di parentele e di aderenze, sono nonostante costretto a restare privo di un tale bene…”[Archivio Pellegrini]
Da questo carteggio, non menzionato né dal figlio Giuseppe né dal parroco del Borgo Giovanni Antonio Giusti nel suo “Compendio” [“Compendio della vita e delle virtù esercitate dall’Ill.mo Sig.re Dottore Giacomo Vincenzo Pellegrini” 1818 -  Antonio Giusti - Archivio Pellegrini - ], si possono trarre due ordini di considerazioni.
La prima è che il Pellegrini doveva aver raggiunto una posizione ragguardevole per essere annoverato fra coloro che avrebbero dovuto dare nuova linfa alla morente repubblica oligarchica e in particolare doveva essere dotato di prestigio professionale, dirittura morale e consistenza economica, anche se questa è negata nella lettera di risposta al Vecchi .
La seconda considerazione è che doveva aver maturato una coscienza democratica, formatasi per il concorrere di molteplici condizioni. Prima di tutto l’appartenenza della famiglia alla borghesia, quindi l’essere dottore in legge, categoria professionale che fornì il massimo numero di democratici fin dalla rivoluzione del 1789, inoltre la sete di conoscenza, che lo contraddistinse e trovò risposta nello studio assiduo svolto nella ricca biblioteca di casa e, certamente non ultima, la profonda e genuina religiosità. Quest’ultimo fattore per il nostro, come per molti democratici italiani e in particolari della repubblica lucchese, non costituì elemento di dissonanza con le idee “rivoluzionare” coltivate, ma anzi ebbe funzione di stimolo per le stesse.
A riprova che il dottor Giacomo coltivasse idee democratiche e godesse di profonda stima, anche nel campo aristocratico, è la sua partecipazione al Governo Giacobina di Lucca, in qualità di membro del Direttorio.
Il 2 gennaio del ’99 le truppe francesi avevano occupato la città, essendosi il giorno precedente inoltrate nel territorio lucchese per costringere i Napoletani ad abbandonare il porto di Livorno. All’inizio il generale Serrurier, capo delle truppe francesi, condusse una politica prudente, tesa a rendere meno dirompente il nuovo assetto istituzionale, che l’esercito francese si apprestava a portare nella vecchia repubblica. Tuttavia costatata l’impossibilità di rigenerazione politica attraverso il ceto nobiliare, anche se questo aveva abolito le leggi martiniana e del libro d’oro del 1628 [Storia di Lucca – A.Mancini] e si proponeva di ripristinare l’antica costituzione democratica, e sotto la spinta dei club giacobini insoddisfatti dei mutamenti fin lì avvenuti il Serrurier intervenne d’imperio.
Il 4 febbraio il generale impone la costituzione della prima Repubblica Democratica Lucchese, che prevedeva il potere legislativo nelle mani del Consiglio dei Giuniori (48 membri) e del Consiglio dei Seniori (24 membri), mentre il potere esecutivo era costituito dal Direttorio (5 membri) e da cinque ministri, presentando i nomi degli uomini scelti per tali organi. Lo stesso giorno il Pellegrini riceve in Borgo la comunicazione della sua elezione a membro del Direttorio. [ASL Repubblica Lucchese (Primo Governo Democratico) n. 6, c.1. Cfr. Regesto, p. 165, n.1]
Della nomina, oltre l’atto ufficiale, si ha un riscontro nel manoscritto della cronaca di Antonio Benedetti, nativo del Borgo e chiamato a far parte del Consiglio dei Giuniori: “…. la sera del 4 febbraio 1799, circa alle cinque, vengo a casa e trovo un messo che discorreva sulla porta col mio fratello Bartolomeo; appena mi vide disse di avere una lettera da consegnarmi da parte del generale Seruirier;……Una lettera uguale venne anche per il dottor Giacomo Pellegrini del Borgo………la mattina dopo, ultimo di carnevale, partii per Lucca insieme con il dottore Pellegrini…”[Biblioteca di Maurizio Burlamacchi – Bagni di Lucca]
I documenti ufficiali sono estremamente scarni sull’operato dei direttori e per il dottor Giacomo si trova solo che fu incaricato della revisione e controllo dei contratti delle Vicarie, che chiese l’esonero dall’incarico per motivi di salute il primo aprile e che le sue dimissioni dal Direttorio divennero operative il 4 maggio [ASL Repubblica Lucchese (Primo Governo Democratico) n. 3, cc.370-371. Cfr. Regesto, p.23, n.167]. In seguito fino al 24 giugno tenne la carica di Deputato della Comunità di Diecimo e l’11 luglio ebbe dal Direttorio l’incarico di revisionare i debiti della Vicaria del Borgo [ASL Repubblica Lucchese (Primo Governo Democratico) n. 3, cc.370-371. Cfr. Regesto, p.23, n.167], proprio a pochi giorni dalla caduta dello stesso Direttorio, avvenuta il 17 del medesimo mese.
Gli scritti del figlio Giuseppe non fanno alcun cenno al periodo in cui il padre coprì tali cariche, e il “Compendio” del parroco Giusti riporta solo: “…. i suoi vari consigli [erano] degni di governare non solo la propria casa con somma lodevolezza, ma di tenere le redini di un governo come in vari eventi successe. Mentre dopo la Repubblica di Lucca, subentrati i Francesi nel 1800, fu veduto e contemplato il nostro dottore e si volle al Consiglio, al direttorio dello Stato, perché conosciuto nella sua grandissima abilità. Sciolto finalmente il direttorio, tornò in seno alla famiglia.
Nella scarsezza di notizie, si possono pertanto formulare solo ipotesi sulle vicende del dottor Pellegrini nel periodo che lo vide membro del Direttorio.
Prima di tutto si devono tenera presente i criteri adottati per la scelta dei rappresentanti della Repubblica Democratica da parte del generale Serrurier. Questi, oltre a stabilire la struttura costituzionale, dichiara di voler chiamare al governo ”quelli che per il loro attaccamento alle massime repubblicane, per saviezza del loro spirito sembreranno i più propri a mantenere la Liberà con fermezza, e la tranquillità senza terrore” [ASL Repubblica Lucchese (Primo Governo Democratico)].
Nell’opera di scelta il generale fu aiutato da cittadini lucchesi, ma la massima influenza si deve all’ex nobile Paolo Garzoni. In questa ottica la nomina del dottor Giacomo appare congruente col quadro politico del momento: al governo della nuova repubblica si richiedono uomini probi, democratici, non estremisti.
Le notizie circa l’attività del Pellegrini all’interno del Direttorio sono estremamente scarne come sopradetto, ma  è da ritenere che la sua partecipazione non fosse limitata a una mera funzione prevalentemente “tecnica”: le eccezionali condizioni storiche del momento non lo avrebbero permesso ad alcun membro del massimo organo esecutivo di una repubblica “giacobina”. Così si può leggere nella “Staffetta del Serchio”, primo giornale lucchese e portavoce delle frange rivoluzionarie più estremiste, un violento attacco dell’abate Ferloni contro i membri del Direttorio in merito alla libertà di stampa, con una esplicito richiamo al “Pellegrini vostro degno compare”, da cui è desumibile un suo intervento specifico sul delicato argomento.
Ma più di questi riferimenti, induce a credere in una partecipazione del dottor Giacomo alla vita di governo più ampia di quella indicata dagli atti ufficiali, la documentazione conservata nell’archivio Pellegrini, formata da numerosissime lettere, manoscritti e raccolte di pubblicazioni. In particolare sono rilevanti nel numero i manoscritti che si riferiscono a discorsi, sedute e articoli relativi all’Assemblea Nazionale della rivoluzione dell’’89, che certamente dovevano servire per una conoscenza approfondita dei principi ispiratori della Repubblica francese. E’ poi motivo di interesse uno scritto “ Sulla legittimità del Governo stabilito in Lucca dai Francesi l’anno [spazio bianco] e sulla giustizia di alcune conseguenze derivanti da esso”, non tanto per il contenuto volto a giustificazione l’intervento delle truppe francesi, quanto per la mancanza nel titolo della data dell’anno, a significare la possibilità che il documento sia stato preparato antecedentemente all’ingresso dei Francesi in Lucca.
Per quanto riguarda le dimissioni si deve osservare che dei cinque direttori iniziali, indicati dal generale Serrurier, ben quattro non terminarono il mandato. L’esonero fu richiesto dal dottor Giacomo per motivi di salute e lasciò l’incarico dopo 89 giorni, sui 163 di vita della Repubblica “Giacobina” Lucchese, pur proseguendo l’impegno istituzionale nella Vicaria di appartenenza.
 Questo fa sorgere dubbi circa la vera causa dell’interruzione della sua attività in seno al Direttorio. E’ da supporre che l’appartenenza ai democratici moderati e la sua profonda religiosità gli facessero apparire non più condivisibili le estreme decisioni che il governo rivoluzionario aveva intenzione di assumere in una situazione di ora in ora sempre più grave; inoltre, per il grande senso di dignità che lo distingueva, le interferenze sempre più pesanti nella conduzione del governo della Repubblica da parte dei generali francesi, che succedettero al Serrurier, dovevano apparirgli non più accettabili. Ma soprattutto il precipitare della situazione nei paesi e nella campagna deve aver spinto il dottor Giacomo ad abbandonare Lucca e il Direttorio e a tornare in seno alla famiglia.
 Fuori della città vi era stata sempre verso il governo democratico una certa avversione, che si trasformò in atti di ribellione alle notizie del prevalere delle armi austro-russe su quelle francesi ed anche al Borgo e nei paesi limitrofi vi furono dei moti. Il dottor Giacomo tuttavia, pur dimettendosi da membro del Direttorio, tenne gli incarichi del governo rivoluzionario sopra ricordati fino al termine della Repubblica Democratica, certamente di minor responsabilità, ma tali da esporlo egualmente alla prevedibile repressione, che sarebbe seguita alla caduta del Direttorio.
Completamente privo di documentazione è il periodo che segue immediatamente alla caduta della prima Repubblica Democratica Lucchese e che vede la reggenza provvisoria austriaca e il manifestarsi di vendette di parte aristocratica e di coloro che nelle campagne e nei paesi avevano avversato la svolta rivoluzionaria. La cronaca del figlio e il panegirico del parroco Giusti non fanno cenno a limitazioni della libertà o a interrogatori da parte delle nuove autorità o ancora ad aggressioni di elementi reazionari ai danni del dottor Giacomo, fatti ai quali gran parte degli esponenti democratici furono soggetti. Solo un racconto, tramandato nella famiglia Pellegrini, potrebbe essere riferibile a un tentativo di violenza. Si narra che in quel tempo la porta retrostante della casa, che si affaccia sulla strada degli orti, resistette all’assalto da parte di uomini armati e, poiché il fatto fu ritenuto miracoloso, da quel momento l’ingresso secondario fu chiamata “porta santa”.
Dopo la vittoria di Napoleone a Marengo (14 giugno 1800), cessata la reggenza austriaca, a Lucca subentra quella francese, interrotta il 13 settembre dello stesso anno dal ritorno di un governo dei nobili, imposto da un corpo di spedizione toscano-austriaco. Il 9 ottobre prevalgono ancora le armi francesi e il generale Clément muta il nome di “Reggenza” in “Governo Provvisorio”, lasciando provvisoriamente i governanti precedenti di estrazione nobile, che vengono sostituiti da elementi democratici, via via che si dimettono. Infine nel 1801 il Saliceti, plenipotenziario del Bonaparte, dà forma a una nuova costituzione per la Repubblica di Lucca e il governo entra in funzione il primo del 1802. La nuova costituzione prevede il potere legislativo rappresentato da un Consiglio di 300 cittadini e il potere esecutivo esercitato da 12 Anziani, uno dei quali presiede a turno col titolo di Gonfaloniere. [Storia di Lucca – A. Mancini]
Di questo periodo si trova un riscontro assai puntuale nelle memorie del figlio Giuseppe: “ …. per consiglio e persuasione di persone autorevolissime si lasciò persuadere a sedere a scanno della repubblica lucchese. Ciò accadeva nella fine dell’anno 1801 (il nuovo consiglio fu formato definitivamente il 1° gennaio 1802) allorché il Saliceti, inviato straordinario del governo consolare Francese, ordinava in Lucca una nuova costituzione per cui questa città diventava repubblica democratica temperata. A ciò si decise soltanto quando vide la nomina ufficiale e la inutilità e forse l’impossibilità della rinuncia. Si porta a Lucca solo per il momento, per condurvi in seguito la famiglia e intanto eccolo nel gran consiglio membro legislativo e quindi nel potere esecutivo anziano e gonfaloniere. Mentre egli veste al di fuori manto principesco cinto ai fianchi di spada, sappiamo essere egli al di sotto coperto con le sacre lane del carmine e stretto ai lombi con l’umile insegna di terziario di San Francesco d’Assisi. Ma le vicende degli stati europei si succedevano l’una all’altra……; Lucca contava due secoli e mezzo di repubblica aristocratica, e come democratica una durata di  pochi anni ed era venuto il suo tempo per passare alla monarchia…… Venuti dunque i principi Baciocchi a Lucca cadeva da sé la repubblica e sgravato per simil moto l’anziano Pellegrini si ritraeva dal pubblico per sempre…”.
In realtà il dottor Giacomo ricoprì ancora cariche pubbliche, come Gonfalonierato del Borgo, e nel 1805 è nominato senatore del principato di Lucca da Napoleone I. [ASL Repubblica Lucchese (Primo Governo Democratico) n. 4, cc.333-336; n. 6, cc.1469-1472 Cfr. Regesto, p.130; p206, n526]
 

Manopole e bavero della veste da senatore del Principato.


L’esistenza di Giacomo Vincenzo Pellegrini scorrerà di seguito serenamente nel suo Borgo e di questo ne fanno testimonianza i due scritti sulla sua vita citati. Essi sono ricchi di aneddoti che tendono a evidenziare le sue virtù civili e cristiane.
E’ emblematico il seguente episodio riportato dal parroco Giusti: “Aveva il Sig. Giacomo ripassata una partita di vendita effettuata dal suo Sig. Padre da gran tempo;…… … col timore della coscienza esaminò i fatti, vide lo sborzo del prezzo, e non parendogli il tutto a seconda della giustizia, bisognò per metterlo in calma ch’io chiamassi il creditore nella persona del figlio ed egli passò una quantità di farina, non finendo io in tale incontro di intendere ve più eccitasse meraviglia chi l’esigeva, o chi con larga mano la passava.”
Ancora più interessante è il fatto riportato dai due scritti citati in cui si racconta che il Dottor Giacomo dapprima cercò di resistere all’ordine della principessa Elisa Baciocchi di iscrivere il figlio primogenito al Real Collegio e che, vista vana ogni resistenza, volle pagare le spese anziché usufruire dell’esenzione.
Giacomo Vincenzo Pellegrini fu colto da morte il 20 gennaio 1842 e “dopo le consuete esequie fu colla processione trasferito nella chiesa del Santissimo Crocifisso per aspettare il tempo voluto alla tumulazione che fu fatta nel camposanto annesso, dove erano sepolti Paolino Maria Pellegrini e Celestina Santini suoi amati genitori. Al freddo corpo non parlò lusinghiero oratore coi fiori dell’arte, ma parlò il popolo di lui per spontaneo convincimento.” [Dalla “vita del padre]

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